INTRODUZIONE
Riprendendo il filo dal X sec., là dove ho interrotto il mio articolo precedente, continuerò a trattare la situazione socio-politica ed economica del Regnum Italiae (ex Regno Longobardo, Italia Centro-Nord), con particolare riguardo alla Toscana. Eravamo rimasti al periodo dell’Anarchia Feudale, epoca movimentata a cavallo tra 800 e 900, nella quale le famiglie aristocratiche del Nord Italia e Transalpine si contendevano la corona d’Italia. La Chiesa Romana non se la passava meglio e al 897 risale il macabro ‘Sinodo del cadavere’ di Papa Formoso, in cui viene letteralmente processato e interrogato un pontefice morto. Tra le altre cose particolari del periodo è da ricordare, circa 40 anni prima, la supposta elezione di una papessa, Giovanna, unica pontefice donna della storia.
LA POLITICA NELL’EX REGNO LONGOBARDO: L’ANARCHIA FEUDALE
Nell’896 l’imperatore Arnolfo di Carinzia muore lasciando il controllo del Regnum a suo figlio Ratoldo, che però fu spodestato da Lamberto II di Spoleto e Berengario del Friuli. Tuttavia il primo morì poco dopo lasciando la corona d’Italia interamente al secondo e, nel frattempo, i marchesi di Tuscia, d’Ivrea e il conte di Piacenza chiesero l’intervento di Ludovico di Provenza. Dopo varie guerre Berengario riuscì nel 905 a mantenersi sul trono. Vi riuscì fino al 923, quando il partito di oppositori (Adalberto I d’Ivrea, Gilberto di Como, l’arcivescovo di Milano Lamberto, Bonifacio I duca di Spoleto, Berta di Lotaringia) chiamò in soccorso il re di Borgogna Rodolfo II, il quale lo sconfisse a Fiorenzuola d’Arda. Berengario morì comunque assassinato due anni dopo.
La quiete durò poco e tra un anno e l’altro l’Italia del Nord subiva incursioni Ungare. Questi ultimi, formidabili cavalieri, furono inoltre impiegati molte volte come mercenari dai vari signori del Regnum. Nel 926, su invito del marchese toscano Lamberto, sbarcò in Toscana Ugo di Provenza, che già più volte aveva tentato di conquistare la Corona Ferrea (corona del Regno Longobardo e ora del Regnum). Ugo sconfigge Burcardo II di Svevia (alleato di Rodolfo) e nello stesso anno è incoronato re a Pavia. Egli sognava anche il titolo imperiale ma dovette abbandonarlo quando Giovanni X (il papa che avrebbe dovuto incoronarlo) fu fortemente combattuto da Guido di Toscana e sua moglie Marozia. Nel 930 Ugo associò al trono suo figlio Lotario II e fece assumere il Margraviato di Tuscia prima a Bosone d’Arles, poi al figlio illegittimo Uberto. Inoltre rubò la corona di Provenza al figlio di Ludovico il Cieco e la consegnò a Rodolfo di Borgogna per evitare che quest’ultimo accampasse pretese sul Regnum. Nel 940 spostò il figlio della sorellastra Ermengarda di Tuscia, Anscario II Marchese d’Ivrea, a fare il duca di Spoleto. Tuttavia il suo grande nemico fu il marchese Berengario II d’Ivrea, il quale fuggì dal re dei Franchi Orientali Ottone I di Sassonia insieme alla moglie Willa di Toscana. Egli rientrò in Italia atteso dall’aristocrazia come liberatore nel 945, costrinse Ugo ad abdicare passando il regno a Lotario II, il quale tuttavia morì avvelenato.
OTTONE I IL GRANDE RESTAURA L’IMPERO
Il 9 dicembre 950 Berengario II viene incoronato re nella Basilica di San Michele Maggiore a Pavia. Adelaide di Borgogna, leader del partito filo-provenzale, prima a Como e poi a Garda. Ma quest’ultima decise di chiamare in aiuto proprio il re Ottone I, il quale varcò le Alpi e causò la fuga di Berengario. Il sovrano sassone si fece incoronare rex francorum et italicorum e fino al 961 dovette combattere la resistenza dei nobili d’Ivrea (Berengario e Adalberto), così come la minaccia degli Ungari. Infine, dopo averli assediati all’Isola di San Giulio, ai castelli di San Leo e di Ghiffa, Berengario II venne esiliato a Bamberga e Adalberto fuggì in Borgogna dove sarebbe morto 10 anni dopo. Condusse una guerra nel Sud Italia anche con l’imperatore bizantino Niceforo II Foca e nel 962 fu incoronato imperatore da Giovanni XII. Malgrado le speranze di potere territoriale di quest’ultimo Ottone impose lo storico Privilegium Othonis, il quale sottoponeva l’elezione del vescovo di Roma al consenso dell’imperatore e dei suoi rappresentanti.
Ottone I, che divenne ‘il Grande’ (anche per aver salvato l’Europa dagli Ungari nella leggendaria Battaglia di Lechfeld nel 955), è fondamentale per la nostra storia, poiché fin dall’inizio si adoperò nella restauratio imperii, ossia la rinascita di un Sacro Romano Impero che unisse le corone di Germania e Italia. Un impero stavolta a trazione germanica, dato che non vi era inclusa la corona dei Franchi Occidentali (futuro Regno di Francia), che sarebbe stato il punto di riferimento imperiale per l’Italia del Nord, così come per l’Europa, fino all’Età Moderna.
Questo è il brevissimo quadro storico di questo articolo, in cui si inserisce l’evoluzione del Margraviato di Toscana e dei suoi attori, che come abbiamo visto furono molto attivi nella politica del Regnum. Ottone il Grande fu seguito dagli eredi Ottone II, Ottone III, Enrico II fino a che la dinastia Sassone non si estinse nel 1026 e fu sostituita dalla dinastia Salica.
POLITICA E POTERE IN TOSCANA PRIMA E DOPO IL MILLE
Durante il periodo sassone, salico, fino ai Welfen e gli Staufer (X-XII sec.) la Tuscia fu uno dei marchesati più potenti della Langobardìa (com’era chiamata l’Italia Centro-Nord intorno al Mille, poi Lambardìa, Lombardìa). Quando Berengario II fu sconfitto il trono di Lucca era guidato da Uberto di Toscana, figlio dell’ex Re d’Italia Ugo d’Arles e di Wandelmoda. Egli ebbe il dominio pressoché incontrastato dell’Italia Centrale e fu un fedele vassallo dei sovrani d’Ivrea e d’Italia Adalberto e Berengario II fino a che non venne sconfitto nel 962 da Ottone stesso. Ciononostante l’imperatore gli restituì la marca che tenne fino alla sua morte nel 970 circa. Il trono di Toscana fu ereditato dal figlio avuto con Willa di Toscana e Spoleto (discendente degli Hucpoldingi): Ugo.
Quest’ultimo è ritenuto tra i più grandi sovrani della storia di Toscana (il Gran Barone dantesco). Ancora oggi, il 21 dicembre, nella Badia Fiorentina si celebra la sua memoria.
Difatti Ugo e sua madre Willa furono fondamentali per la storia fiorentina, poiché decisero (per la prima volta dai tempi del Regno Longobardo) di spostare la capitale del Magraviato da Lucca a Firenze. Probabilmente questa decisione rifletteva anche un’effettiva rinascita d’importanza di Florentia, dato che essa nel primo Medioevo fu al di fuori delle principali vie di comunicazione toscane (Francigena), oltre che essere lontana dal mare e avversata dall’ingombrante presenza di Fiesole.
Ugo fu uno dei maggiori consiglieri del Gefolge (seguito) dell’imperatore Ottone III e, per un periodo, fu da questo nominato duca di Spoleto (Umbria) e marchese di Camerino (Marche), detenendo quindi un potere enorme in Italia Centrale. Nell’anno Mille guidò le armate imperiali insieme a Enrico il Santo, futuro imperatore, per liberare Ottone III imprigionato dai romani e, senza combattere, ancora una volta dimostrò grandi doti diplomatiche. Ugo morì a Pistoia nel 1001 e fu sepolto nella Badia Fiorentina, voluta da sua madre Willa. In effetti quest’ultima e suo figlio contribuirono non poco all’edificazione di molti monasteri toscani, come quello sul Poggio Marturi (Poggibonsi), la Badia a Settimo (voluta dai conti Cadolingi e nella quale si insediarono i Cluniacensi), la sopramenzionata Abbazia Fiorentina benedettina, etc..
Dopo di lui, da un altro ramo degli Hucpoldingi, fu nominato nel 1004 margravio di Toscana Bonifacio III, il quale, dopo la morte di Ottone III si trovò in un Regnum diviso tra la fazione di Arduino d’Ivrea e gli Obertenghi. Questo contesto conflittuale non gli permise mai di avere il controllo completo della marca. Dopo di lui i documenti attestano il potere di Ranieri, il quale sembra aver ereditato il ducato di Spoleto e la marca di Camerino ottenendo così un esteso controllo sull’Italia Centrale. Lui e sua moglie Waldrada fecero numerose donazioni a molti monasteri toscani. Nel 1027 si oppose alla discesa verso Roma (Romfahrt) dell’imperatore della nuova dinastia germanica dei Sali, Corrado II di Franconia, e forse questo gli costò tutto. Siamo in un periodo di grande fermento religioso, gli ordini monastici stanno osservando riforme epocali. A Milano si sviluppa il movimento moralistico della Pataria, in Umbria a Fonte Avellana nasce la figura del monaco e teologo San Pier Damiani (conosciuto anche per lo stile di vita penitenziale, con flagellazioni, poco cibo e molto lavoro) e la rivalità di potere tra Chiesa e Impero diviene una questione di portata storica.
LA TOSCANA AI TEMPI DELLA LOTTA PER LE INVESTITURE: I CANOSSA
È proprio nel clima della guerra tra potere secolare e spirituale che al governo della Toscana assurse un’antica famiglia che dal X secolo costruì il proprio potere intorno all’Appennino Reggiano (posizione strategica per il controllo delle vie tra Italia del Nord e Centrale) e prese il nome della sua fortezza più nota: Canossa.
Nel 1027 Bonifacio III di Canossa si trovò a capo di una delle più potenti marche dell’impero. Figlio di Tedaldo di Canossa (a sua volta figlio di Adalberto Atto di Sigifredo), erede di numerose contee che spaziavano da Brescia a Mantova e da Reggio a Luni, e Willa (nipote di Bonifacio II e quindi discendente degli Hucpoldingi), erede di numerose terre nella Toscana del Nord, fu il candidato ideale per divenire nuovo Margravio di Tuscia. Tale carica fu garantita negli anni precedenti anche dalla sua fedeltà all’imperatore Enrico II, combattendo di volta in volta contro i vari aristocratici che si auto-nominavano re d’Italia. Sostenne anche l’incoronazione del sovramenzionato Corrado II il Salico, il quale tolse il trono di Toscana a Ranieri e lo consegnò proprio a Bonifacio. La sua politica al servizio del Sacro Romano Impero lo portò a combattere i nemici dell’imperatore in Nord Italia fino alla Borgogna, a contenere le spinte anti-imperiali dei vescovi del Regnum e a meritarsi il Ducato di Spoleto e la Marca di Camerino. Tali abilità lo porteranno ad acquisire un potere enorme nello scacchiere italico, tanto da far paura al famoso Enrico III il Nero. Perciò solo nella parte finale della sua vita si trovò a collidere con la parte imperiale.
Da lui e da sua moglie Beatrice di Bar (Lotaringia) nacquero Federico e Matilde. Il primo governò insieme alla madre perché quando il padre morì (probabilmente assassinato) era ancora troppo giovane, ma solo per 3 anni poiché morì. Beatrice fu una figura di spicco del suo tempo, metà di stirpe Lothringen (Lorena) e metà Schwaben (Svevia), era imparentata con l’imperatore Corrado II e padrona di numerose terre attorno all’odierno Lussemburgo. Si risposò prima con Goffredo III di Lotaringia il Barbuto. Quest’ultimo però si inimicò l’imperatore Enrico III, che lo fece fuggire dalla Toscana e tenne sotto custodia in Germania Beatrice e sua figlia Matilde. A Beatrice fu riconsegnato il trono di Tuscia poco tempo dopo, il quale tenne fino alla propria morte nel 1077. Ella, insieme ad Agnese regina d’Italia, madre dell’imperatore Enrico IV, e alla figlia costituì un triumvirato al femminile di grandi donne politiche che guidarono la mediazione tra Papato e Impero nel XI sec.. Si dice inoltre che Beatrice fosse una donna di una bellezza straordinaria, con occhi chiari e lunghi capelli rossi. Qualità, spirituali e fisiche, che saranno ereditate dalla figlia più famosa e gloriosa.
Introdurre la donna più famosa della storia toscana significa anche arrivare alla fine di un’era. A cavallo tra XI e XII sec. il Regnum Italiae, o popolarmente Lanbardìa, vedeva il tramonto della società signorile e dei castelli, l’alba dei comuni, la messa per iscritto dei valori cavallereschi e l’apertura delle Crociate per la riconquista della Terra Santa.
La Gran Contessa Matilde di Toscana fu una delle donne più potenti d’Europa e condivise il potere con la madre fino alla morte di questa. Nel 1069 sposò Goffredo il Gobbo e andò a vivere con lui in Lorena per alcuni anni, ma la permanenza non fu lieta poiché perse con il parto l’unica figlia mai avuta. Il marito morì in un’imboscata e i parenti lorenesi non gli erano molto favorevoli, perciò se ne tornò in Italia, dove divenne erede solitaria di un territorio enorme tra Centro e Nord Italia.
Si trovò al centro della lotta per le investiture, tra l’imperatore Enrico IV e il papa Gregorio VII che lo aveva scomunicato. Matilde si schierò con quest’ultimo e ospitò l’incontro pacificatorio tra i due nel proprio Castello di Canossa nel 1077. Ciononostante la pace durò poco e alcuni anni dopo l’imperatore preparò una controffensiva nel Nord Italia con un antipapa e un’armata guidata da vescovi a lui fedeli. Il Regnum si spaccò per la prima volta tra famiglie filo-imperiali e famiglie filo-papali (che un secolo dopo sarebbero divenuti Guelfi e Ghibellini). Matilde guidò le armate a difesa di Gregorio VII, perse alcune battaglie e ne vinse altre.
Nel 1088 scelse di organizzare un matrimonio strategico con l’erede 15enne del Ducato di Baviera: Guelfo V. Da notare l’arrivo sulla scena della famiglia bavarese dei Welfen, che da ora fino all’epoca degli Staufen, costituirà il simbolo della fazione anti-imperiale italica e darà il nome alla parte Guelfa. Il matrimonio non finì bene, anche perché sembra che l’adolescente si rifiutasse di fare sesso con la marchesa 43enne, la quale si infuriò smisuratamente.
La guerra con l’imperatore riprese negli anni 90’. Enrico IV tornò in Italia scendendo dal Brennero, conquistando Verona e arrivando ad assediare le forze matildiche proprio nelle terre originarie dei Canossa, sull’Appennino Tosco-Emiliano. Qui i feudatari opposero una grande resistenza nelle montagne, tanto che l’imperatore fu costretto a ritirarsi. Tale grande vittoria garantì alla Chiesa Romana di confermare i propri privilegi, anche se le lotte con i sovrani germanici erano appena cominciate. Matilde riuscì infine a trovare un accordo con i figli di Enrico IV (morto nel 1106), in primis con Enrico V, ultimo esponente della dinastia salica. Prima di morire senza eredi tentò di dare un sovrano filo-papale alla Toscana adottando Guido Guerra II il Succhiasangue (perché si dice leccasse il sangue dei nemici dalla spada) della potente famiglia comitale toscana dei Guidi, in modo da contrastare i conti Alberti filo-imperiali.
Matilde morì nel 1115 nelle sue terre reggiane, lasciando un vuoto di potere che non sarebbe mai stato colmato. I feudi dei Canossa si disintegrarono e la tradizione dei sovrani toscani di stirpe aristocratica reale e imperiale, con parentele che risalivano addirittura a Ottone il Grande, si interruppe.
L’ITALIA CENTRO-NORD POST-MATILDICA: L’ALBA DELLE CITTÀ-STATO
Ci troviamo adesso in un Regnum socialmente mutato, anche se solo in parte. Il diritto romano veniva sempre meglio riscoperto e a Bologna nasceva la prima università, la filosofia greca dal mondo arabo riportava in voga Aristotele e i classici nella letteratura. Le Crociate, la Reconquista portarono il mondo cristiano alla riconquista del Mediterraneo e la ‘rivoluzione economica’ dell’Anno Mille riportò l’arricchimento degli strati medi, laici della popolazione e all’espansione dei centri urbani ai danni del contado. In Toscana iniziarono a prevalere le grandi famiglie aristocratiche locali e le città principiarono a divenire piccole repubbliche, mini-città-stato sull’esempio della Roma antica. Tuttavia questi poteri non avevano più la forza di assurgere al dominio del Margraviato e, proprio per questo, la nuova dinastia imperiale sveva degli Hohenstaufen, tentò, dagli anni 20’ del 1100 di controllare la Marca di Tuscia tramite marchesi o vicari di nomina imperiale provenienti dal Regno di Germania (Rabodo, Corrado di Scheiern, Ulrico di Attems etc..). Tale politica proseguì sin quasi alle porte del Trecento ma sempre con meno successo e scarsa rilevanza nella politica toscana, dipendente in primis dai successi della Parte Ghibellina. Questi governatori risiedevano nella civitas strategicamente al centro della Toscana: San Miniato, che non a caso si chiama anche San Miniato al Tedesco.
Questo breve ma lungo articolo ha cercato di compilare un taglio politico dell’ex Regno Longobardo e in particolare della Toscana dal X al XII sec.. Un discorso più incentrato sulla società toscana e sullo sviluppo delle signorie feudali locali sarà tentato nel prossimo contributo.
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BIBLIOGRAFIA
G. Althoff, Spielregeln der Politik im Mittelalter: Kommunikation in Frieden und Fehde, WBG, 2014.
H. Keller, Die Ottonen, Beck, 2017.
G. Tabacco, Sperimentazioni del potere nell’Alto Medioevo, Einaudi, 1993.
Liutprando da Cremona, Antapodosis
– Gesta Othonis
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