Forma vitae ed obbedienza cattolica

L’approvazione della Forma vitae (o proto-Regola) francescana da parte di papa Innocenzo III, di cui è stato fatto riferimento anche all’interno del precedente articolo (“Ed il Signore mi dette”: Francesco d’Assisi ed il Testamento: https://www.lastoriadeglistorici.it/2021/05/28/ed-il-signore-mi-dette-francesco-dassisi-e-il-testamento/?fbclid=IwAR3uReJ-p6e0tXfWvqVhDgBvcHdFdVZ30k0VdMKOQFpZumGJlHrQb8siLto) costituisce, malgrado la trascuratezza con cui è stato trattato da alcuni dei suoi interpreti, l’attestazione di una precisa volontà di Francesco che, con la stessa strutturazione del Testamento, si era proposto di osservare “più cattolicamente la Regola (…) promessa al Signore”. Del resto, dalla lettura del Testamento possiamo comprendere come Francesco d’Assisi fosse angustiato dalla sua osservanza “cattolica” e che, in quest’ottica, tutti i doni di fede ricordati dopo l’incontro con il lebbroso riguardassero gli umili segni sacramentali che attuano visibilmente la missione di salvezza della Chiesa, di cui abbiamo fatto menzione nei precedenti articoli (oltre al menzionato secondo articolo, rimandiamo al primo articolo della rubrica: “Le origini del francescanesimo: il Testamento di Francesco d’Assisi”: https://www.lastoriadeglistorici.it/2021/04/02/le-origini-del-francescanesimo-il-testamento-di-francesco-dassisi/).

In quest’ottica, si rende necessario, prima di procedere nell’analisi dell’ultima parte del Testamento di Francesco (incentrata su come vivevano i frati della primitiva fraternità francescana e l’accento posto da Francesco sul tema dell’obbedienza alla Regola e alla Chiesa di Roma), fare un passo indietro e soffermarsi su alcuni aspetti concernenti la genesi dei suoi scritti. Così facendo, potremo affrontare la questione con una maggiore chiarezza.

1- Il Testamento di Francesco d’Assisi e la Regola Bollata: una necessaria premessa

Francesco d’Assisi scrisse personalmente o dettò, come in parte abbiamo già affermato anche nei precedenti articoli incentrati sul suo Testamento, numerosi testi: questo era noto già a Tommaso da Celano poiché, come possiamo vedere all’interno della Vita prima, si ricorda esplicitamente il Testamento e le lettere che l’Assisiate aveva scritto a Ugolino d’Ostia, cardinale di Ostia. Inoltre, Tommaso da Celano dimostra di conoscere altri, citandone frasi o ricalcandone temi e parole. Troviamo, inoltre, menzione dei suoi scritti nelle leggende successive e nelle Cronache dell’Ordine: qui si menzionano anche scritti che, al giorno d’oggi, sono andati perduti. Tali perdite se corrispondono a un’organizzazione ancora molto precaria ed approssimativa dell’Ordine e al carattere stesso di tali scritture “non dotate di valore giuridico e realizzate su un supporto materiale elementare, perciò deperibili”, segnalano anche che solo in un secondo tempo, ben avanti nel Duecento direi, si pensò di raccogliere più o meno sistematicamente gli scritti di Francesco: questo sembra confermato dal fatto che in nessuna delle grandi collezioni del XIII e XIV secolo è contenuta la serie completa che sono giunti sino a noi e che, in alcuni casi, siano stati conservati grazie ad un unico testimone.

Tralasciando il complesso processo redazionale degli scritti di Francesco d’Assisi (di cui faremo riferimento in un successivo articolo), ci soffermeremo, in primo luogo, sul rapporto esistente tra il suo Testamento e la Regola bollata, prendendo in considerazione anche di come la Regola bollata fosse stata preceduta da un altro testo che non aveva ottennuto il necessario consenso (di Roma o del gruppo più autorevole dei Frati Minori o da entrambe le parti). Dovremo perciò ricordare come la Regola bollata (approvazione di papa Onorio III con la Solet annuere del 29 novembre 1223), frutto del lavoro di équipe (come dimostrato da analisi interna e testimonianze esterne), rappresenti un rifacimento della prima versione. Francesco, diversamente da quanto affermato dalla tradizione zelante (che confinavano gli interventi di Onorio III e dei ministri su singoli punti del testo), si è avvalso, come verrà ricordato in seguito anche da papa Gregorio IX nella Quo Elongati, della collaborazione di “viri religiosi et periti”.

Così facendo, potremo comprendere come il Testamento di Francesco d’Assisi sia da leggere, come affermato all’interno dello stesso testo, come un’integrazione della Regola bollata: egli era consapevoli dei limiti ed ambiguità rispetto alla “novitas” del suo proposito originale. Nonostante tutto, La voce di Francesco d’Assisi emerge chiaramente all’interno della Regola bollata (sono ben nove le volte sui 12 capitoli in cui possiamo riscontrare l’uso della prima persona singolare) per ribadire quelli aspetti ed atteggiamenti che egli considerava importanti per poter realizzare la “vita evangelii” (non giudicare gli altri; evitare i litigi e i contrasti; mai accettare denaro né direttamente né tramite intermediari; seguire il Signore in povertà e umiltà amandosi e aiutandosi reciprocamente; evitare rapporti sospetti con le donne; esser sempre soggetti alla Chiesa di Roma). In questo modo, potremo comprendere anche come, se la Regola bollata è essenziale per ricostruire il dinamismo interiore e l’articolarsi istituzionale e sociale della fraternità nel primo decennio, il Testamento esprime, nella prima parte, l’autoconsapevolezza e la percezione soggettiva che Francesco aveva del suo percorso religioso e delle sue tappe fondanti, selezionando quelli esempi che gli permettono di riproporre in tutta la sua pienezza e radicalità l’esperienza di Cristo nella storia secondo quanto lui aveva percepito gradualmente. In quest’ottica, il ricordo della grazie e della misericordia di Dio (presente all’inizio del testo) viene indicata da Francesco come fondamento della sua scelta di campo ortodossa e della sua piena sottomissione alla Chiesa cattolica di Roma.

2- L’obbedienza cattolica: la condizione di minorità nel Testamento di Francesco d’Assisi

Francesco, all’interno del Testamento, ricorda come monito per il presente ed il futuro che egli ed i suoi primi compagni, dopo aver ottenuto l’approvazione da parte del papa, come vivessero lui ed i suoi primi compagni e di come coloro (egli, per parlare della distribuzione dei beni ai poveri, passa dalla prima alla terza persona singolare poiché riflette la storia della sua conversione in quanto egli dovette restituire i propri beni al padre) che “venivano per intraprendere questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere” e di come loro, “contenti di una sola tonica, rappezzata dentro e fuori”, “del cingolo e delle brache”, volessero vivere senza avere alcune proprietà (raccontando di come scandissero la giornata tra la preghiera, il lavoro e – qualora non avessero ricevuto il necessario per potersi sostentare – la questua o mendicanza). In quest’ottica, è opportuno ricordare di come Francesco, sebbene vi siano stati alcuni mutamenti e trasformazioni – accettate nel nome dell’obbedienza verso Cristo e la Chiesa cattolica – nel passaggio avvenuto nell’istituzionalizzarsi della fraternità francescana nell’Ordine dei Frati Minori (dopo l’approvazione del papa), insista sulla povertà di fatto e sullo spirito di “non appropriazione” di quei luoghi e di quelli edifici in cui soggiornavano (“Si guardino bene i frati da non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e tutto quanto viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre dimorandovi da ospiti come forestieri e pellegrini).

In quest’ottica, è opportuno ricordare inoltre di come la duplice obbedienza di Francesco verso Cristo e la Chiesa fossero alla base del suo Testamento: egli rimanda infatti all’Altissimo la decisione di vivere “secondo la forma del santo Vangelo” [non si tratta di una rivelazione mistica, ma della triplice apertura del testo del Vangelo in San Niccolò di Assisi, avvenuta nel momento in cui Bernardo e Pietro si uniscono a Francesco] e al papa, successore di Pietro, il merito di aver “confermato” la cattolicità della sua forma vitae. Francesco, nel ribadire la sua intenzione di voler vivere la “fede cattolica” e di voler “osservare più cattolicamente la Regola”, ricorda la volontà sua (e dei suoi frati) di voler seguire il Cristo umile e povero, ricercato con fede ed amore dentro i segni e gli strumenti che Cristo ha affidato nelle mani della sua Chiesa. In quest’ottica, si comprendono, da un lato, quei severi provvedimenti invocati da Francesco per quei frati dissidenti della prassi liturgica o della fede cattolica e, dall’altro lato, l’indicazione del “signore di Ostia” (cardinale protettore dell’Ordine dei Minori) come “protettore e correttore di tutta la fraternità”.

In tal senso, l’obbedienza, secondo quanto affermato da Francesco d’Assisi nel suo Testamento (ma non solo, visto che si può far riferimento – da riprendere in un successivo articolo – al testo delle Ammonizioni) la forma suprema di quella povertà [si fa riferimento anche alla sequela Christi], per la quale il suddito “abbandona tutto quello che possiede”, compresa la sua stessa volontà, come appare in un altro passo del Testamento. Così facendo, Francesco ribadisce la sua ferma volontà di “obbedire al ministro generale di questa fraternità (francescana) e ad altro guardiano che gli sarà piaciuto assegnarmi” a punto tale da voler essere “come un prigioniero nelle sue mani” e non poter “andare o fare oltre l’obbedienza e la volontà sua perché egli è mio signore”. Inoltre, è opportuno ricordare di come Francesco (egli aveva abbandonato la guida dell’Ordine dei Minori, indicando Pietro Cattani come suo successore nella guida della comunità francescana), “semplice e infermo”, richieda di poter aver sempre con lui “un chierico” che gli reciti l’ufficio “così come prescritto nella Regola” da lui promessa al Signore (questo impegno è ricordato da una nota scritta da frate Leone nel cosiddetto Breviario di san Francesco, conservato all’interno del protomonastero di Santa Chiara).

Conferma di come l’obbedienza sia intesa come forma suprema della povertà, sul modello della sequela Christi, possiamo citare un pezzo del Testamento, in cui Francesco comanda “fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella Curia romana, né personalmente né per interposta persona, né a favore di chiesa o di altro luogo, né sotto il pretesto della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi; ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio”. Francesco ribadisce il divieto poiché, diversamente, ciò avrebbe determinato un annullamento della loro condizione di minorità (l’essere soggetti a tutti ed in particolare al clero locale). In quest’ottica, Francesco afferma che anche l’eventuale condizione di persecuzione non avrebbe costituito una motivazione per poter richiedere un qualsiasi tipo di beneficio in quanto, solo così, avrebbero vissuto la beatitudine della persecuzione, premessa dell’itineranza apostolica.

3- La difesa della minorità nel Testamento di Francesco: prassi normativa

Se non teniamo conto della precisa volontà di far “osservare il più cattolicamente la Regola (…) promessa al Signore” da lui e da coloro che, raccolti attorno a lui, avevano dato vita alla primitiva fraternità francescana, non potremmo comprendere quella durezza che, presente all’interno della prassi normativa espressa nel Testamento, potrebbe sembrare estranea al mite Francesco. In tal senso, è opportuno ricordare come alcuni avessero ipotizzato che Francesco, “davanti al pericolo di separarsi dalla Chiesa”, avesse preferito abbandonare “i principi dell’amore e della bontà, che hanno di mira il bene del singolo”, e sacrificare “l’eventuale bene privato a quello più sicuro della comunità”. In tal senso, è opportuno far riferimento alla severa procedura espressa da Francesco d’Assisi per punire quei frati che “che non dicessero l’ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altri modi, o non fossero cattolici”: egli afferma che i frati, “ovunque trovassero alcuni di essi (eventuali frati trasgressori)” fossero “tenuti per obbedienza (…) a farli comparire davanti al custode più vicino al luogo in cui l’avranno trovato”. Il custode, in quel momento, sarebbe stato “fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamente come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro”: quest’ultimo avrebbe dovuto, infine, mandare il trasgressore, custodito “giorno e notte come un uomo imprigionato”, presso il Signore d’Ostia [cardinale protettore, figura richiesta da Francesco d’Assisi a papa Onorio III]. La durezza espressa da Francesco d’Assisi nel Testamento appare strana anche perché, così facendo, verrebbe meno la prassi evangelica espressa nel concetto dell’ammonimento finalizzato al recupero del trasgressore (“ammoniscilo… l’avrai riguadagnato”, in cui si fa riferimento al Vangelo di Matteo, v. 18,15) e della sua preoccupazione affinché tutti possano perseverare nella “vera fede e nella penitenza, poiché nessuno può salvarsi in altro modo”. In quest’ottica, è opportuno ricordare che ogni passaggio (dal fratello, al custode, al ministro provinciale e al cardinale protettore) non dovesse essere inteso come automatico in quanto, in ogni sua fase, era prevista la possibilità di poter “tentare il recupero del frate alla vita religiosa-francescana, nella piena comunione di fede e di preghiera con la fraternità e con la Chiesa di Roma”.

Papa Gregorio IX [il cardinale Ugolino di Ostia, protettore dell’Ordine], dopo aver incontrato una delegazione dell’Ordine dei Frati Minori composta da 7 frati (il ministro generale Giovanni Parenti – eletto invece di frate Elia che, probabilmente, aveva ricevuto l’incarico di occuparsi della costruzione del santuario di San Francesco di Assisi – e sei frati noti al papa e alla curia romana: Antonio di Padova, Gerardo Rossignol, Aimone da Faversham, Leone da Perego, Gerardo da Modena e Pietro da Brescia) giunta per la risoluzione di alcune questioni inerenti al valore da attribuire al Testamento di Francesco e alle indicazioni in esso contenute intorno all’obbligo di non glossare la Regola e di richiedere litterae (lettere di privilegio) alla curia romana, aveva risposto, in seguito, con la Quo Elongatio ed aveva negato la validità giuridica del Testamento di Francesco d’Assisi, stabilendo che l’osservanza del Vangelo concerneva soltanto quei consigli che venivano ricordati all’interno della Regola bollata: egli, sciogliendo dubbi ed incertezze, aveva fondato le proprie interpretazioni sulla base della propria esperienza personale al fianco di frate Francesco. Gregorio IX, quand’era cardinale di Ostia, aveva partecipato alla realizzazione della Regola e si era impegnato per favorirne l’approvazione della sede apostolica. Così facendo, era a conoscenza della “intentio” (intenzione) che aveva ispirato il beato Francesco nel redigere i due testi (Regola bollata e Testamento) che tanti problemi interpretativi e applicativi stavano creando ai frati. Del resto, è opportuno ricordare che l’eccezionale proposta religiosa francescana non era facilmente trasportabile all’interno di formule giuridiche, caratterizzate da norme statiche e di valore generale.

Ricordo, infine, in conclusione, di come Francesco d’Assisi, all’interno del Testamento, affermasse, rivolgendosi ai propri frati, dicendo che non avrebbero dovuto considerare quel testo come “un’altra Regola” [la Regola bollata proviene, a suo dire, dal Signore, da cui dipende la sua esperienza religiosa e la stessa formazione della fraternità francescana], ma come “un ricordo, un’ammonizione, un’esortazione e il mio testamento” con cui lui, “frate Francesco piccolino”, poter osservare “il più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore” (Regola bollata). L’importanza della Regola bollata viene, in quest’ottica, ribadita ulteriormente da Francesco d’Assisi che, nel Testamento, comanda “fermamente” (espressione paradossale se pensiamo al fatto che egli non ricopre più alcun ruolo istituzionale all’interno dell’Ordine dei Minori) ai suoi “frati, chierici e laici” di non inserire “altre spiegazioni nella Regola” visto che essa proviene dal Signore che “ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole”. La Regola dovrà, in quest’ottica, essere conservata “con semplicità e purezza, senza commento” (sine glossa), ribadendolo nella benedizione con cui conclude il Testamento: “E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell’altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio diletto con il santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi. E io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. [Amen]”) l’importanza del rispetto della Regola bollata che lui ed i suoi frati avevano promesso al Signore.

Portret van Giovanni Parenti, 1ste Minister Generaal van de franciscaner orde Portretten van Ministers Generaal van de franciscaner orde (serietitel), RP-P-1909-5056.jpg: This file is made available under the Creative Commons CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication

– Edoardo Furiesi

Edizione critica delle fonti:
Ernesto Caroli, Fonti Francescane editio minor, III edizione, Editrici Francescane, 2015 (prima edizione 2011), pp. 101-104 (note incluse). Si rimanda, per introduzione al Testamento, anche a pp. 55-56

Bibliografia:

– Carlo Paolazzi, Francisci Assisiensis scripta, a cura di Carlo Paolazzi OFM, Frati editori di Quaracchi – Fondazione Collegio S. Bonaventura / Editiones Collegii S. Bonaventurae Ad Claras Aquas, Grottaferrata (Roma), 2009, cfr. p. 385-386

– Giovanni Miccoli, Francesco d’Assisi: memoria, storia e storiografia, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano, 2010, cfr. pp. 13-15; cfr. pp. 20-22; cfr. pp. 40-41

– Giovanni Grado Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Editrici Francescane, Padova, 2012 (prima edizione 2003), cfr. pp. 137-141

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