
Con il termine prodigi nell’antica Roma si intendevano fenomeni o eventi caratterizzati dalla modificazione delle leggi della natura, nonché quanto risultava anomalo e sfuggiva alla comprensione umana: terremoti, eclissi, piogge di pietre, fulmini, malformazioni del mondo animale e umano come bambini nati con un numero maggiore di arti o con parti del corpo deformate. Per la gravità che lo contraddistingueva un posto a sé stante era riservato nella mentalità romana all’androginia, interpretata come il sovvertimento totale della natura umana e che per questo suscitava ancora maggiore orrore e preoccupazione nei cittadini. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, un prodigio non era ritenuto premonizione di niente: i Romani, a differenza dei Greci, non avevano molta fiducia negli oracoli che predicevano il futuro. L’accadimento di un portentum indicava che era stata rotta la pax deorum, ovvero una relazione pacifica tra uomini e dei, con conseguenze di vario genere. Di solito la causa della frattura di tale equilibrio era individuata negli errori compiuti durante l’adempimento dei rituali religiosi sicché agli uomini era richiesto di intervenire tempestivamente per riparare agli sbagli e riequilibrare le forze divine. A tal proposito, dopo aver raccolto tutte le informazioni sui portenta verificatisi nel corso dell’anno, il senato si incaricava di stabilire di quali eventi miracolosi occuparsi e di come affrontarli.

I prodigia rivestivano un ruolo non marginale già nell’annalistica latina e nell’opera di Livio, dove figurano numerosi casi di eventi eccezionali. Al di là della tradizione letteraria va inoltre tenuto presente che, secondo la prassi romana, il senato esaminava i fenomeni fuori dal normale accaduti nell’anno trascorso e indicati da uno dei consoli, verificando se occorreva attivare delle contromisure per ripristinare buone relazioni con gli dei, della cui irritazione gli avvenimenti prodigiosi si ritenevano segno.
La scienza aruspicina e divinatoria, importata a Roma soprattutto dall’Etruria, riconobbe varie tipologie di fatti straordinari, distinguendo tra presagi, comprendenti omina e auspicia, e prodigi. Nonostante le diversità per interpretarli era necessario comunque partire dall’osservazione della realtà. L’omen era identificato in un episodio fortuito dotato di un senso premonitorio, come nel caso di frasi pronunciate con un’intenzione ben precisa, ma comprensibili con una finalità diversa da chi ascolta. Con auspicia si intendevano invece i segni provenienti soprattutto dagli uccelli e dalla visione del loro volo o dall’ascolto dei loro suoni e potevano giungere sia spontaneamente o in seguito alla sollecitazione degli auguri, che in ogni caso li registravano e li interpretavano. Il compito del sacerdote era quello di stabilire, sulla base delle osservazioni svolte, se l’opera da intraprendere era ben voluta dagli dèi oppure no. D’altra parte, agli uomini era rimessa la facoltà di decidere se accettare o meno il responso del presagio e continuare la propria azione nonostante i pareri negativi, incorrendo nell’ira divina.

Per sanare eventuali catastrofi abbattutesi sull’Urbe occorreva l’intervento di sacerdoti di uno dei tre ordini, ovvero pontefici, aruspici e decemviri. Quanto ai primi, va ricordato che fin dall’origine della città si dedicarono all’espiazione dei prodigi. Con l’espansione dei loro contatti i Romani scoprirono che la scienza religiosa degli altri popoli era notevolmente più progredita della loro e per questo si servirono anche di sacerdoti stranieri, in particolare di aruspici, in genere originari delle città-stato dell’Etruria, e di decemviri preposti alla lettura dei Libri Sibillini, pratica di importazione greca, che suggeriva riti purificatori in occasione del verificarsi di fatti anomali. Le espiazioni più comuni comportavano la richiesta di giorni di feriae indetti in onore di uno o più numi, lettisterni, supplicazioni, processioni lustrali lungo le vie cittadine nel caso dell’androginia. In occasione di prodigi di particolare gravità furono introdotti culti di divinità straniere come nel caso di Esculapio nel 293 a.C. e di Cibele nel 204 a.C. Come possiamo desumere anche da quanto sopra ricordato, l’elemento prodigioso rivestiva un’importanza primaria nell’antica Roma, trattandosi di un momento in cui la città rifletteva sul significato delle azioni compiute dai cittadini e nei confronti dei quali gli dèi avevano manifestato il loro dissenso attraverso eventi di tipo straordinario.
– Stefano Florenzi
Bibliografia:
- Liv. I, 18. Per la traduzione in italiano si veda Tito Livio. Storia di Roma dalla sua fondazione, traduzione di Mario Scandola, introduzione e note di Claudio Moreschini, vol. I, Milano, BUR, 2013, pp. 267-269.
- Liv. X, 47. Per la traduzione in italiano si rimanda a Tito Livio. Storie: libri VI-X, a c. di Luciano Perelli, Torino, UTET, 1979, pp. 695-697.
- Liv. XXIX, 10. La traduzione italiana è nel seguente volume Tito Livio. Storie: libri XXVI-XXX, a c. di Lanfranco Fiore, Torino, UTET, 1981, pp. 499-500.
- Oros. II, 13, 8-9. Per la traduzione in italiano si veda Orosio. Le storie contro i Pagani, a c. di Adolf Lippold, vol. I, Milano, Lorenzo Valla, 1976. p. 137.
- Oros. V, 4, 8-9. Per la traduzione in italiano si veda Orosio. Le storie contro i Pagani, a c. di Adolf Lippold, vol. II, Milano, Lorenzo Valla, 1976. pp. 23-25.
- Jacqueline Champeaux, La religione dei romani, Bologna, il Mulino, 2002.
- Georges Dumézil, La religione romana arcaica, Milano, BUR, 2016.
- Giovanni Gerace – Arnaldo Marcone, Storia romana, Milano, Mondadori, 2011.
- Jörg Rüpke, La religione dei Romani, Torino, Einaudi, 2004.
- John Scheid, La religione a Roma, Roma-Bari, Laterza, 2004.
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