Dopo aver analizzato brevemente il contesto storico in cui si sviluppò la rivoluzione paolista in Corsica, e dopo aver studiato la situazione nobiliare sull’isola nel XVIII sec. (cfr. “Giustificare una rivoluzione – Parte I: https://www.lastoriadeglistorici.it/2021/07/01/giustificare-una-rivoluzione-parte-i/); continuiamo la nostra disamina delle cause che hanno portato allo scoppio della rivoluzione isolana.
3. La questione economica.
Salvini, come del resto Paoli, riconobbe subito che l’oppressione più grave, non riguardava l’ambito dei privilegi nobiliari, cui unico scopo era dimostrare l’esistenza di un ceto dominante che potesse farsi carico della responsabilità della formazione di un nuovo stato, bensì l’oppressione economica. Infatti, per tutta la sua carriera come leader dei corsi, Paoli si preoccupò costantemente dei problemi economici e finanziari dell’isola, questo è dimostrato dalla meticolosa attenzione che il generale usava nel richiamare i magistrati delle province e gli intendenti di finanza circa riscossione delle imposte e lo sviluppo agricolo e portuale dell’isola. In campo economico, le accuse contro il malgoverno genovese si fecero più precise e dirette ma non mancò l’intento propagandistico nel mostrare l’immagine di un virtuoso popolo corso, dedito all’agricoltura ed alla pastorizia, contro la figura di un vizioso genovese, dedito, al massimo delle sue prerogative, al cicisbeato. Scrive infatti Salvini nelle sue Giustificazioni: «Agricoltori e allevatori di Corsica, che voi tenete sì a vile [sono], in verità, più degni di stima de’ vostri cicisbei genovesi, benché profumati e imbellettati».
Genova fu accusata di aver ridotto l’isola ad una colonia e il suo popolo alla schiavitù della terra, senza possibilità di sbocchi commerciali, i quali restarono appannaggio genovese e diretti primariamente verso i bisogni cerealicoli della Liguria. Tuttavia, fu proprio questa condizione di immiserimento generale a giustificare, nell’ottica di Salvini, la rivoluzione di un popolo afflitto dalla sua condizione economica nella quale la Dominante l’aveva portato. Sicuramente è mitologica l’immagine della Corsica come una «terra fertilissima e doviziosa che la Repubblica aveva intenzionalmente mantenuto nella povertà» contenuta nelle Giustificazioni, ma in effetti, come fa notare Dal Passo, era stata Genova la responsabile nel mantenere dei compartimenti stagni tra le diverse parti dell’isola, impedendo la genesi di un mercato “nazionale”. La polemica di Salvini non fu diretta al sistema fiscale genovese, che lo stesso autore riconobbe essere inefficiente, bensì ai rapporti commerciali interessati tra la Corsica e Genova che erano altamente sfavorevoli per i primi. I genovesi traevano dalla Corsica soprattutto generi alimentari quali grano, olii, vini, castagne e salumi a prezzi vili giacché erano i primi a fissare i prezzi ogni anno, in base ai raccolti dell’anno precedente. Inoltre, la Dominante aveva il potere di bloccare il commercio di un dato genere con un terzo acquirente se di quel prodotto ci fosse stata penuria nella madrepatria e pertanto i mercanti della Serenissima avrebbero potuto acquistarlo prima di altri, a prezzo ovviamente al di sotto di quello del mercato. Sempre secondo Salvini, Genova cercò di migliore l’economia corsa ma lo fece solo per poter ricavare maggiori proventi, ne è un esempio il caso delle colture cerealicole che furono ampiamente estese sull’isola per tutta l’età moderna; tuttavia è interessante notare come la Repubblica proibisse l’esportazione di grano e in caso di esportazione, gli esportatori sarebbero stati i commercianti genovesi che avrebbero rivenduto a terzi il grano corso, solo dopo averlo acquistato sull’isola a prezzi modici.
Anche il sistema dei prestiti fu totalmente sfavorevole ai corsi; le banche liguri erogavano ai proprietari terrieri corsi, desiderosi di accrescere le loro coltivazioni, soltanto prestiti a breve termine. Tali prestiti si rivelavano infruttuosi quando le banche esigevano indietro il denaro non appena si fosse chiusa la stagione dei raccolti e cioè quando i proventi della terra non erano ancora stati venduti, obbligando il proprietario terriero a vendere il raccolto nell’immediato (e perciò al ribasso) se non voleva vedersi pignorata la terra oppure la casa.
A far sprofondare il fossato che separava Genova dalla Corsica ci fu anche il fatto che i funzionari inviati d’ufficio dalla Liguria per amministrare l’isola dovevano essere mantenuti a spese dei corsi. Paoli cercò al contrario di rovesciare totalmente la situazione favorendo la creazione di un mercato nazionale, dando aiuti finanziari nonché sgravi fiscali ai mercanti ed ai proprietari terrieri corsi; trovò anche nuovi canali commerciali per i prodotti dell’isola (soprattutto ravvivò il commercio con i porti di Napoli e Livorno), aumentò le tasse su beni e terre infruttuose, nella speranza che fossero messe a frutto in modo migliore e soprattutto affidò l’amministrazione dell’isola agli isolani stessi.
4. La questione scolastica.
Oltre alla perdita di dignità ed alla povertà, un altro problema era quello dell’ignoranza. Salvini, ancora una volta, attribuì alla repubblica di Genova tutta la responsabilità di impedire la diffusione di qualsiasi forma di cultura tra i corsi. A loro si voleva chiudere l’accesso ad ogni impegno pubblico, laico o ecclesiastico e per questo la Dominante si oppose all’apertura di scuole pubbliche, chiudendo parecchie scuole teologiche e obbligando i giovani che avessero voluto avere un’istruzione universitaria o i sacerdoti che avessero voluto studiare teologia, a lasciare l’isola per recarsi sul continente. Scrive a questo proposito Salvini che «se gl’isolani di Corsica vivono tutti disoccupati, questo non è per scelta ma per impotenza».
Per sopperire alla mancanza di istruzione superiore sull’isola, Pasquale Paoli, il 26 dicembre 1763, come coronamento del suo governo illuminato, eresse a Corte un’università pubblica che, stando al Journal of a tour to Corsica in the year 1766 ed ai Ragguagli dell’isola di Corsica, già nel 1766 contava 150 studenti. Concepita sul modello delle università italiana, in quella di Corte vennero impartite lezioni di teologia-dogmatica, teologia morale, etica, filosofia e retorica. L’ateneo, in cui le lezioni vennero impartite in lingua volgare sin dalla sua apertura, aveva per scopo quello di fornire le necessarie cognizioni per abilitare i giovani corsi alle cariche pubbliche di consiglieri di stato, presidenti, consultori, magistrati e governatori delle province. In una perfetta politica illuminata, Paoli decise di creare la nazione partendo dalla nazione stessa, ovvero cercò di sfruttare e sviluppare l’ingegno e l’intelletto dei giovani patrioti per dare solide basi intellettuali al neonato stato indipendente.
In conclusione, dopo aver analizzato le cause fondamentali che portarono alla rivoluzione del 1729-69, Salvini sostenne che «le radici fondamentali che mossero i corsi, erano state le stesse che avevano già messo in moto le altre rivoluzioni europee, ovvero l’oppressione, la tirannia e l’incapacità dei governanti»; dunque la Corsica era pienamente legittimata a scuotere il gioco «de’ signori di Genova».
– Vito Nardulli
BIBLIOGRAFIA
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J. BOSWELL, An Account of Corsica, London, Edward and Charles Dilly, 1768.
F. DAL PASSO, Il Mediterraneo dei Lumi. Corsica e democrazia nella stagione delle rivoluzioni, Napoli, Bibliopolis.
G.M. NATALI, Disinganno intorno alla guerra di Corsica scoperto da Curzio Tulliano còrso ad un suo amico dimorante nell’isola, Bastia, 1736.
P. PAOLI, Correspondance II, a cura di A. M. Graziani e C. Bitossi, Ajaccio, Editions Alain Piazzola, 2005.
G. SALVINI, La Giustificazione della Rivoluzione di Corsica e della ferma risoluzione presa da’ Corsi di mai più sottomettersi al dominio di Genova, Napoli, 1758.
P.A. THRASHER, Pasquale Paoli. An Enlightened Hero (1725-1807), Londra, Constable, 1970.
F. VENTURI, La rivoluzione di Corsica, le grandi carestie degli anni Sessanta, la Lombardia delle riforme, 1764-1790, Torino, Einaudi, 1995 (10. rist.).
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