Nell’articolo precedente ci eravamo fermati all’ingresso dei Germani nella Storia scritta, all’incirca nel I sec. a.C., quando Cimbri e Teutoni imperversarono per la Gallia e l’Italia del Nord e quando Giulio Cesare ne principia a trattare nel suo De bello gallico. Siamo giunti perciò alla seconda età del ferro nordeuropea, la cosiddetta Età del Ferro Romana, così chiamata perché per la prima volta il mondo nordico viene a contatto diretto con l’espansione di Roma.

Ma quali sono le prime menzioni scritte dei popoli del Nord?

Ovviamente le prime sono greche, facciamo un breve excursus. Il primo esploratore/geografo greco ad aver sicuramente viaggiato nel Nord Europa è Pitea di Marsiglia (380 – 310 a.C.), noto nel mondo antico per i suoi lunghi viaggi tra le Gallie, la Britannia, il Mare del Nord fino addirittura a Thule, una leggendaria isola oltre la Gran Bretagna, forse l’Islanda, forse la Norvegia. Anche se di Pitea non ci sono arrivate opere ma solo menzioni di altri autore, le prime suggestive descrizioni di quei luoghi lontanissimi (del sole a mezzanotte, dell’aurora boreale, etc.), fin quasi al circolo polare artico, sono attribuite a lui, anche se in realtà già gli scrittori antichi sapevano che quei luoghi erano già stati in precedenza esplorati da viaggiatori e mercanti.

Ad ogni modo dopo di lui ricordiamo anche il grande Posidonio (135 a.C. – 50 a.C.), filosofo, geografico, storico, scienziato e maestro di greci e romani del quale purtroppo, come Pitea, non ci sono giunte opere dirette. Anch’egli eccellente esploratore, tra i suoi numerosi viaggi è noto quello in Gallia, che ci ha lasciato numerose informazioni sulla cultura celtica. Come lui, anche il suo ‘erede’ Strabone (60 a.C. – 24 d.C.) dedicò nella sua opera maior, Gheografikà, molto spazio alle Gallie e a parte della Germania, perseguendo un taglio etnografico-antropologico che riemergerà successivamente nelle opere di Tacito.

Come vediamo il mondo greco aprì la strada agli ‘studi’ delle culture nordiche ma chi ci si scontrò (in tutti sensi) ancor più da vicino furono i romani, i quali fin dalla prima Epoca Repubblicana ebbero a che fare con l’arrivo sotto forme di migrazione/invasione da parte di genti del Nord nella penisola italiana. Nell’articolo precedente mi ero fermato alla fine della prima età del ferro germanica, ossia nel I sec. a.C., quando Cesare arrivò sulle sponde del Reno e ‘decise’ che oltre quel fiume sarebbe stata ‘Germania’. Come affermano molti studiosi i ‘germani’ furono in un certo senso inventati proprio dai romani.

CIMBRI E TEUTONI

Ad ogni modo il primo incontro noto tra le due culture fu quello di fine II sec. a.C., quando grossi gruppi di tribù provenienti dall’attuale Danimarca, appellati nelle fonti come Cimbri, Teutoni e Ambroni iniziarono una migrazione verso Sud invadendo le terre dell’Europa Centrale dalla Pannonia alla Italia del Nord, dalla Gallia fino alla Spagna del Nord. Appiano, Strabone e Cesare ci parlano di questa grande invasione, della guerra durata anni che coinvolse le legioni romane, le popolazioni celtiche e questi popoli germanici. Dopo alcune cocenti sconfitte i romani, sotto la guida di Gaio Mario e Quinto Lutazio Catulo riuscì a battere definitivamente il nemico.

Il secondo incontro molto famoso fu quello del sopraddetto Gaio Giulio Cesare, il quale, nella sua conquista della Gallia, si trovò più volte ad affrontare o ad allearsi con eserciti germanici. Il primo incontro ufficiale fu quello con il comandante di un esercito suebo, Ariovisto, che si risolse con uno scontro favorevole ai romani in Alsazia. Dopo di questo il generale romano continuò ad avere dei rapporti di scontro e incontro con le popolazioni al di là del Reno, fino a che, quando quasi tutti i Galli lo avevano abbandonato nella rivolta di Vercingetorige, la cavalleria germanica gli dette una forte mano per sconfiggere il nemico. Ad ogni modo il grande ‘apporto’ di Cesare alla storiografia fu quello di inventare la Germania, ponendo il Reno come confine, laddove ormai gli archeologi (nonché già alcuni autori antichi) individuano invece la costante presenza di popolazioni celtiche. Sarebbe impossibile anche riassumere qui tutte le posizioni, talvolta anche molto divergenti, degli autori greco-latini sulle popolazioni germaniche, da Cesare a Tito Livio, da Velleio Patercolo a Pomponio Mela, da Plinio il Vecchio a Tacito. Tutti questi autori contribuirono in modo determinante a fornirci l’idea di ‘barbaro’ che possediamo ancora oggi, nonché tutta quella cornice di pregiudizi etnico-nazionali che sarebbero stati poi ripresi con vigore nel 1800.

Ciò che interessa a noi sapere in questa sede è il graduale spostamento verso Sud delle genti germaniche, andando sempre più a fondersi (o a scacciare) le popolazioni celtiche del Centro Europa. Potremmo dire che l’unico argine temporaneo a una maggiore diffusione fu l’arrivo dell’Impero Romano tra Reno e Danubio. Premettendo la confusione prodotta dagli autori nell’attribuire più o meno ‘germanicità’ o ‘celticità’ a questo o quel popolo e nel mescolare culture, usi e tradizioni differenti (ricordiamoci sempre che essi parlavano in modo interessato a un pubblico colto greco-romano), possiamo intravedere delle linee evolutive della società dei germani, almeno quella a contatto coi romani. Laddove Cesare descrive il sistema politico di queste popolazioni come sostanzialmente acefalo, democratico e semi-nomadico, Tacito introduce l’esistenza di un sistema monarchico elettivo(?) che gradualmente sfocerà nella figura sempre più frequente del dux. Quest’ultimo era un comandante militare che inizialmente era eletto solo in tempo di guerra ma col tempo divenne una figura sempre più stabile trasformando la società germanica da un sistema confederativo-democratico a uno signorile. È fondamentale tenere a mente che tali linee evolutive furono per tutta l’Età del Ferro Romana dettate dal rapporto strettissimo con l’Impero Romano che, lontano da essere un’entità separata, plasmò in profondità cultura e mentalità dei popoli della Germania. I Germani per più di quattro secoli furono clienti, sudditi, cittadini, soldati e generali di Roma, pensiamo ad Arminio, Giulio Civile e Stilicone.

La struttura politica dei popoli germanici si evolse in rapporto all’esistenza dell’Impero e dei processi socio-economici da esso determinati in quei secoli. Un esempio è l’evoluzione del thing, l’assemblea dei guerrieri liberi della tribù, nella quale si prendevano in primis decisioni politiche, giuridiche. Col tempo essa divenne sempre più verticistica e le decisioni importanti riservate a una ristretta oligarchia aristocratica. I duces ai quali abbiamo fatto riferimento in precedenza acquisirono sempre più potere decisionale all’interno delle assemblee così come la loro preminenza, questo grazie anche al sostegno di Roma che aveva bisogno di questi signori della guerra per manovrare la politica dentro e fuori il limes. Tali leader si arricchivano conflitto dopo conflitto e si circondavano di un seguito, il comitatus di Tacito, di guerrieri clienti legati da uno stretto rapporto gerarchico. Questo nuovo potere portò alla disgregazione dell’antica struttura sociale germanica, basata su una sostanziale politica oligarchica a base assembleare nella quale le differenze di ceto non erano così marcate. Queste ‘lobby’ guerriere, da temporanee aggregazioni, divennero elementi stabili e trascinanti delle comunità i quali emergevano sempre con più chiarezza nelle relazioni romano-germaniche.

Nel corso del II e III sec. d.C., al tempo delle cosiddette Guerre Marcomanniche e di tutta una serie di conflitti crescenti sul fronte danubiano, il mondo germanico si trovò di fronte a una grande fibrillazione culturale ed economica. Grazie anche al rapporto simbiotico con la società imperiale anche i popoli poco oltre il limes crebbero di potenza, organizzazione e complessità, accorpandosi in gruppi sempre più grossi. D’altro lato Roma si avviava a un inesorabile declino, il III sec. d.C., detto anche dell’Anarchia Militare, aveva quasi messo fine alla storia imperiale due secoli prima del dovuto. Gli eserciti romani erano sempre più composti non solo da ausiliari barbarici ma da interi eserciti guidati da questi duces che ottenevano sempre più prerogative e compiti che l’amministrazione romana non era più in grado di rispettare. Per la cronaca, nel 241 d.C. si ha la prima menzione del popolo dei Franchi.

Questi grandi agglomerati tribali che vivevano ai confini dell’impero, di tanto in tanto erano trasferiti all’interno dei confini e ricevevano terre in cambio di prestazione militare (vedi i concetti giuridici di foederatus e hospitalitas). È da tenere bene a mente che per questi popoli Roma non era generalmente il ‘nemico’, al contrario, il benessere, potere, ricchezza che essa rappresentava erano motivo di emulazione, invidia e desiderio di farne parte. Noi dobbiamo tentare di fare uno sforzo e capire che l’universo mentale di un europeo della Tarda-Antichità era inevitabilmente connesso alla consapevolezza dell’esistenza di un potere ‘ordinante’ del mondo conosciuto, che aveva il suo centro nella penisola italiana e si definiva attraverso un nome, noto in tutte le lingue: Roma. In un certo senso, piuttosto che nemici, le popolazioni fuori dell’impero erano dei possibili immigrati che avrebbero voluto condividerne le ricchezze. In questa situazione, con il limes sempre più incerto e un’amministrazione sempre più incapace di tenere insieme le province, l’inizio della cosiddetta Età della Migrazione dei Popoli (Völkerwanderungszeit) e dell’ultima età del ferro nord-europea, quella Germanica, divennero realtà. Aggiungiamoci inoltre la straordinaria invasione unna del IV sec. d.C. che sconquassò tutto l’Est Europa e lo stravolgimento dello status quo precedente era solo questione di tempo.

LA NASCITA DELL’EUROPA

Volevo concludere quest’articolo con questo titolo magniloquente e improvviso. Voi vi chiederete perché l’Europa dovrebbe nascere proprio adesso, dato che la ‘Terra del Tramonto’ era conosciuta e così definita già dalle popolazioni medio-orientali prima dei greci. Mettendomi in linea con storici come Bloch e Gasparri posso affermare che la nascita del concetto culturale di ‘Europa’ trovi le sue radici nel passaggio tra Tarda Antichità e Alto Medioevo. Questo perché il mondo precedente, nel nostro panorama mentale, era un mondo Mediterraneo, in gran parte figlio e debitore culturale delle civiltà medio-orientali. Solo con il crollo dell’Impero Romano il Centro-Nord Europa ha la sua riscossa ed entra prepotentemente nella Storia per dire la sua. L’Alto Medioevo è lì dove si sedimenta una cultura eminentemente europea, il Mediterraneo non è più il centro ma diviene il confine tra le civiltà e il potere alto e basso non sarà ristretto solamente al ‘greco-romano’, ma diverrà romano-germanico, romano-celtico, greco-slavo, etc..

In questo periodo si hanno gran parte delle note ‘etnogenesi’ di cui parlano gli studiosi. I popoli germanici si spostano, conquistano, si insediano e iniziano a ‘essere qualcosa’. Come forse già ricorderete, il 9 agosto del 378 d.C., nella piana di Adrianopoli (non lontano da Costantinopoli) l’imperatore Valente morì sconfitto dai Visigoti, pochi anni dopo le ultime legioni lasciarono la Britannia e nel 410, dopo secoli di intoccabilità, Roma fu violata e saccheggiata dall’esercito di Alarico. In questo scenario apocalittico ecco che si andranno gradualmente a formare i nuovi sistemi politici detti ‘regni romano-barbarici’. In essi individuiamo, rispetto a prima con una certa capacità di distinzione, popoli come gli Svevi, i Visigoti, gli Ostrogoti, i Vandali, i Longobardi, i Sassoni, gli Angli, i Frisoni, i Franchi, gli Alamanni, i Burgundi, i Gepidi, i Bavari, i Turingi, gli Juti etc.. Tutti nomi questi che probabilmente vi diranno qualcosa, sia di politico che letterario, poiché come disse anche Alessandro Barbero: alcuni forse possono dirsi ‘non antichi’, ma nessun europeo può dirsi ‘non medievale’.

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francesco-manetti-autore

FONTI

Ammiano Marcellino, Historiae.

Cassio Dione, Romaikà.

Giulio Cesare, De bello gallico.

Plutarco, Gheografikà.

Posidonio, Frammenti etnografici, a cura di M. Ruggeri, La Vita Felice, 2016.

Publio Cornelio Tacito, De origine et situ germanorum.

Annales.

Historiae.

BIBLIOGRAFIA

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S. Gasparri, Prima delle nazioni. Popoli, etnie e regni fra Antichità e Alto Medioevo, Carocci, 1997.

M. Kazanski. The migration of the Vandals and the Suebi to the Roman West and archaeological accounts. Acta Archaeologica Carpathica, Polish Academy of Sciences – Cracow Branch Commission of Archaeology, 2020, 55, pp.197 – 214.

M. Kazanski, Les tombes de chefs militaires de l’époque hunnique, in, Hg. T. Fischer, G. Precht, J.Tejral, Germanen beiderseits des spätantiken Limes, Universitat Köln, 1999.

T. Paulsen, »Grimmige blaue Augen und große Körper«. Die antiken Germanen aus der Sicht des römischen Historikers Tacitus, Universitat Frankfurt, 2016.

G. Puschnigg, Ein spätantikes Gräberfeld in Oggau, Wissenschaftliche Arbeiten aus dem Burgenland, pp. 59-126.

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