Nel corso del Settecento, in un’epoca di grandi cambiamenti, a impersonare la figura del viaggiatore ideale è soprattutto “il viaggiatore filosofo”: colui che sa guardarsi intorno attentamente, analizza i fatti che ricadono sotto la sua osservazione e valuta le caratteristiche dei luoghi, coglie con precisione gli aspetti più interessanti della realtà che gli si offre.
- I generi del Settecento: la letteratura di viaggio e il diario
L’estremo interesse per l’individuo e la sua soggettività nei confronti della società e del mondo in cambiamento dell’epoca dei Lumi è ben evidente nel genere della biografia che proprio con Boswell e la sua Vita di Samuel Johnson viene portata in auge. Tuttavia, Boswell si distingue anche come autore di letteratura di viaggio, genere popolarissimo nel Settecento. Tale genere, nelle sue varie forme, si collega al mutamento della cultura settecentesca: il viaggio come esplorazione e comunicazione comporta la trasmissione del pensiero e della cultura; Inoltre, è uno dei segni del passaggio dalla stasi (legato allo spirito classico) al movimento, che caratterizza la dimensione epistemica del Romanticismo.
In letteratura il viaggio viene espresso attraverso favole, narrazioni romanzesche, variazione fantastiche, e si fa immagine di un atteggiamento estetico che contribuisce alla “scienza dell’uomo” (secondo la definizione di Hume). L’attraversamento materiale dei luoghi quindi contribuisce a una poetica dell’immaginazione ma anche alla scoperta di una parte sconosciuta dell’individuo che scrive (e non solo).
Tenere un diario nel corso del Settecento fu il mezzo più importante per coltivare il raffinamento. Scrivere e leggere il proprio diario voleva dire essere spettatore di sé stessi. Leggere oggi questi diari ci pone al posto dello spettatore settecentesco, ci fa vedere come i loro autori (Boswell ma anche Anna Larpent, John Marsh, John Yeomen) riflettessero sulle loro esperienze e ne traessero insegnamenti. Il genere del diario segnò una stupefacente integrazione tra vita privata e riflessione personale nel quadro pubblico dell’epoca: molte cose di valore potevano essere imparate attraverso l’esposizione in pubblico dell’io interiore e dei sentimenti privati. Ovviamente i protestanti del Seicento avevano tenuto diari come mezzi di esame e coscienza di sé: mettendo per iscritto i dettagli della vita quotidiana potevano capire se fossero degni di salvezza. Questi resoconti guardavano al mondo sociale e materiale, al mondo del gusto e dei sensi, come subordinato alla questione della fede, della conversione e della salvezza. Le nuove biografie e i nuovi diari invece volgevano a una ricerca di una vita migliore volti a spiegare e comprendere sé stessi: non parlavano del modo in cui l’anima veniva interrogata dal divino inquisitore né della ricerca della virtù civili e politiche.
2. Il secolo del viaggio
Durante il corso del XVIII secolo si registrano mutamenti significativi nella pratica del viaggio e nella percezione del suo significato: se in passato i viaggiatori erano coloro che viaggiavano per mestiere (come mercanti e ambasciatori) sempre più si cominciò a farlo con la semplice e unica finalità della conoscenza. Il viaggio quindi acquistò un nuovo significato, divenne occasione per vedere e osservare la varietà dei comportamenti umani e per confrontarsi con forme di vita e abitudini diverse. Si stava affermando una nuova idea che valorizzava il viaggio dal punto di vista pedagogico e filosofico e questa era una visione moderna che sarebbe durata per tutto il XVIII secolo. Questa nuova forma di viaggio richiedeva la disponibilità di molto tempo (si andava da mesi a anni); esso dava modo di misurarsi con la mondanità della società che era al tempo stesso sociabilità intellettuale e che faceva strettamente parte della cultura aristocratica. Le aristocrazie europee erano solite investire tempo e denaro in itinerari programmati con cura che servissero alla maturazione culturale e politica del giovane. Una tradizione antica come quella di origine medievale della peregrinatio academica, che sopravvisse fino a metà Seicento, si veniva a saldare con la tradizione del viaggio quale momento di iniziazione alla vita adulta e altresì come mezzo di istruzione piacevole. Il largo uso delle lettere di raccomandazione, che apriva porte altrimenti inaccessibili, attuava nei fatti una forma di solidarietà nobiliare nel passaggio da una città all’altra e da uno Stato all’altro. I viaggi avevano anche un fine educativo perchè formavano la gioventù e accrescevano il suo sapere. Rousseau contribuì al dibattito evidenziando, nell’ Emile e nella Nouvelle Hèloise, un altro luogo comune ripreso da tutte le dissertazioni sull’argomento: il viaggio può insegnare a vivere se aiuta a riscoprire la patria e i valori dell’insularità, se ci si converte ai costumi rustici e anti-urbani. I legami tra il viaggio e la politica, il viaggio e la conoscenza, acquistano valore e dipendono strettamente dalla maniera in cui coloro che leggono percepiscono il racconto della mobilità, da come ciò che viene letto dà vita a ciò che viene visto, e da come ciò che viene visto anima ciò che viene letto.
L’ultimo quarto di secolo del Settecento vede una vera e propria esplosione di testi di letteratura di viaggio dedicati a tutti i paesi europei. Considerando che il numero di racconti pubblicati è inferiore ai viaggi effettivamente compiuti e che il testo stampato finisce per produrre realtà dal momento che crea abitudini di ripetizione e di verifica che appartengono ai viaggiatori, è importante fare una riflessione sulla tensione che anima le sue pratiche e le pone in ordine topico. La realtà osservata dipende dai progetti consigliati, letti preventivamente, e l’autore usa effetti realistici in modo da provocare lo stupore e confermare la veridicità del percorso. I lettori sono posti a confronto con l’impossibilità di distinguere il vero dal falso, devono ammettere che la retorica del racconto di viaggio è il miglior modo di scoprire non la realtà, la verità dello spettacolo urbano diverso, bensì i codici che ne organizzano e guidano la percezione.
In questo panorama di movimento di persone, idee e merci, l’Italia restò nel corso del XVIII secolo la meta principale del Grand Tour. Questo era per tradizione un’esperienza giovanile compiuta spesso prima dei venti anni e che segnava profondamente la vita di chi lo intraprendeva. Il viaggio educativo non era certo una novità anche se solo nel XVIII secolo ebbe un primato evidente nella formazione della classe dirigente europea. I giovani erano affidati alle attenzioni di un tutore che li doveva scortare nel viaggio, ruolo che appunto rivestì anche Brydone. Il viaggio d’istruzione, che in particolare i giovani britannici intraprendevano per diventare gentleman era, come afferma Mazzei «un’avventura indispensabile per chi avesse voluto compiere un percorso di successo, e confermare e rafforzare una posizione di rilievo nella società del suo tempo». Si registrò un forte aumento di viaggiatori dopo la fine della guerra dei Sette Anni, nell’inverno del 1763, quando la pace di Hubertusburg pose fine alle ostilità fra Austria e Prussia e sembrò ristabilire un equilibrio europeo.
BIBLIOGRAFIA
Illuminismo. Dizionario storico, a cura di V. Ferrone e D. Roche, in Viaggio di D. Roche, Laterza, Roma, 2008, p. 358
Per una analisi approfondita riguardo i movimenti di persone e idee e di tutti gli aspetti fa essi collegati si rimanda alla lettura di D. ROCHE, Humeurs vagabondes. De la circulation des hommes et de l’utilité des voyages, Fayard, Parigi, 2003
R. MAZZEI, Per terra e per acqua: viaggi e viaggiatori nell’ Europa moderna, Carocci, Roma 2014
J. BREWER, I piaceri dell’immaginazione- La cultura inglese nel Settecento, Roma, Carocci Editore, 2005
R. PASTA, Introduzione. Sguardi sul mondo e testimonianze di sé, in Scrittura dell’Io fra pubblico e privato a cura di R. Pasta, Roma: Edizioni di storia e letteratura, 2009
M. PRAZ, Storia della letteratura inglese, Firenze, Sansoni editore, 1989
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