I PROTAGONISTI
Un padrone di barca, due frati cappuccini e sei marinai: questi i protagonisti di una non troppo
insolita disavventura – non per l’età moderna – che si concluse fortunatamente a lieto fine. Piccole
comparse di fenomeni di lungo periodo e nondimeno attori di primo piano delle loro vite, questi
nostri soggetti ci aiuteranno a osservare da vicino una realtà che di vite ne ha coinvolte tante: quella
del corso mediterraneo. È così che storici come Alberto Tenenti e Michel Fontenay hanno deciso di
indicare un preciso tipo di guerra corsara condotta esclusivamente – o quasi – tra cristiani e
musulmani sulle onde del Mediterraneo, e che conobbe una vera e propria epoca d’oro all’indomani
della battaglia di Lepanto. Il corso mediterraneo fu una costante per tutta l’età moderna, pur con una
progressiva diminuzione della sua intensità sul finire dell’ancien régime, ma i protagonisti della
nostra storia sono più che in grado di testimoniarcene la realtà e le sue caratteristiche. È infatti in
corsari barbareschi che i nostri uomini si imbatterono il 19 agosto del 1745, quando il leudo
Santissima Concezione e i suoi nove uomini, incluso il padrone Cruciano Lombardo di Bastia,
vennero sorpresi e attaccati da una galeotta tunisina al largo di Genova. Il narratore di questa
vicenda, attraverso le sue missive ai Serenissimi Collegi, è il console genovese a Nizza, Francesco
Ardissone.
L’ATTACCO
Possiamo quasi visualizzare gli eventi che ebbero luogo in quella calda giornata d’agosto: una
leggera brezza, il mare calmo e gli occhi preoccupati dei nostri marinai che si fissano immediatamente su un’imbarcazione, spuntata all’improvviso dal suo nascondiglio. Non sappiamo
precisamente dove avvenne l’attacco, ma è cosa nota che i corsari preferissero tendere agguati
lungo la costa, sfruttando le insenature e le isole. Per quanto riguarda il clima, è lecito pensare che
tanto i corsari quanto le loro malcapitate vittime avessero aspettato una giornata ideale per la
navigazione a vela. Nonostante entrambe le parti potessero fare uso di una propulsione a remi,
infatti, l’ideale era sfruttare la forza del vento e conservare i muscoli per specifici momenti:
bonaccia, manovre in porto, vicino alla costa, o in caso di attacco. Proviamo adesso a ricostruire
nelle nostre menti l’immagine che, molto più concretamente, si palesò agli occhi dei nostri
protagonisti. La galeotta corsara, piccola e agile, munita di rematori pronti e freschi, con il ponte
gremito di corsari pronti all’arrembaggio, pareva non lasciare scampo al leudo del padrone
Cruciano Lombardo, con pochi uomini a bordo e gravato dal carico delle merci che con tutta
probabilità stava trasportando. La tattica dei corsari era semplice: sfruttare il fattore sorpresa,
terrorizzare il nemico e indurlo alla resa. Le urla e le grida dei corsari accompagnarono la galeotta
nel suo avvicinarsi, e la fama dei barbareschi fece il resto. La fonte consolare ci dice che Cruciano
Lombardo e i suoi si difesero ‹‹tanto che li è stato possibile››: con tutta probabilità decisero di
arrendersi alla veloce galeotta dopo aver tentato la fuga. Era esattamente quello che si aspettavano i
barbareschi: le loro imbarcazioni erano costruite per l’inseguimento e l’arrembaggio; leggere e
scarsamente dotate di artiglieria avrebbero incontrato difficoltà davanti a un nemico ben armato e
deciso a opporre resistenza dalla distanza, anche se con un equipaggio numericamente inferiore.
L’arma che indusse alla resa il leudo fu con tutta probabilità la paura. Una volta arresisi, i nove
membri dell’equipaggio vennero legati e catturati; il loro leudo fu privato delle vele e delle
attrezzature, quindi abbandonato. Chiunque ebbe in sorte di ritrovare quell’imbarcazione svuotata
dei suoi uomini, forse con gran parte della mercanzia ancora a bordo, non dovette faticare troppo
per comprendere l’accaduto: era uno spettacolo ben conosciuto dagli uomini di mare.
SCHIAVI
Il destino dei nostri protagonisti era a quel punto molto incerto. La galeotta corsara fece vela per
Tunisi; lì sarebbe entrata in porto sparando a salve, annunciando il proprio ritorno. Sbarcati a terra,
spaventati e confusi, gli uomini del Santissima Concezione sarebbero stati accolti da una folla
gioiosa per il bottino predato. Per diversi giorni Cruciano Lombardo e i suoi sarebbero stati esposti
a potenziali compratori, destinati a essere venduti all’asta. Avrebbero potuto tentare di rivolgersi a
qualche propria conoscenza in loco, spesso il console, per tentare di contestare la validità della
propria cattura. A contare veramente, in questo senso, erano gli interessi politici: formalmente
“vassalle” del sultano di Istambul, le reggenze barbaresche mantenevano rapporti diplomatici con
gli altri stati in modo completamente indipendente, ricercando una guerra per favorire l’attività dei
propri corsari o stipulando una tregua dietro il pagamento di una somma di denaro da parte delle
potenze europee. Una prova dell’indipendenza di fatto dei regni nordafricani ce la fornisce il Bey di
Tunisi Al-Husayn I. Questi, nel 1723, fu invitato dal sultano Ahmed III a inviare dei propri
rappresentanti a Costantinopoli per trattare delle capitolazioni con l’impero asburgico. Stando alle
parole di Giovanni Angelo Bogo, console genovese a Tunisi, Al-Husayn rispose:
‹‹non essere mai stat’usanza di mandare sue genti per accordare pace con christiani, e che quando
la Francia, l’Inghilterra, et Olanda hanno voluto una tal cosa, mandarono qui loro inviati per
discorrerla, così potrà fare l’Imperatore››.
Era quindi la congiuntura politica tra il singolo regno e le varie potenze cristiane a dettare la
possibilità di predare un bastimento e di farne prigionieri i membri dell’equipaggio. Potremmo fare molte ipotesi, quindi, su quello che sarebbe accaduto ai nostri protagonisti se fossero stati portati a
Tunisi, alcuni destinati a servire come schiavi lo stato, altri venduti a dei privati. Le loro strade si
sarebbero divise e le loro aspettative sarebbero state estremamente diversificate. Alcuni avrebbero
potuto sperare in un riscatto per opera della propria famiglia, di un’organizzazione pubblica o di un
ordine religioso, altri avrebbero potuto servire uno o più padroni per anni sperando di essere infine
liberati; altri ancora sarebbero morti in schiavitù. Non è tuttavia il caso di soffermarci troppo su
questo tema: benché i nostri protagonisti corsero il pericolo di diventare oggetto di compravendita,
infatti, non giunsero mai a Tunisi.
CONTROCORSA
L’equipaggio del Santissima Concezione non era solo. La Provvidenza, il favore della fortuna, il
caso o più semplicemente i cavalieri di Malta, non li avevano ancora abbandonati. Una settimana
dopo la loro cattura, il 26 agosto, la galeotta barbaresca venne infatti intercettata da due galee
maltesi nelle acque tra la Sardegna e la Tunisia. L’ordine dei cavalieri di Malta, meglio noti come
cavalieri ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme, si era votato alla lotta all’infedele sin dall’XI
secolo. Scacciati da Rodi nel 1522 e insediatisi a Malta nel 1530, per volere di Carlo V e con il
compito di difendere Tripoli dall’avanzata Ottomana, esercitarono per secoli un efficace azione di
contrasto alla corsa barbaresca, fornendo anche supporto alle grandi flotte cristiane impegnate nella
lotta contro il nemico turco. I cavalieri divennero a loro volta corsari, assalendo i bastimenti nemici,
predando merci e uomini; Malta divenne uno dei grandi mercati di schiavi del Mediterraneo. Non di
rado le galee maltesi assalirono anche bastimenti battenti bandiere cristiane, meglio ancora se
protestanti. I melitensi non erano però i soli a costituire un ordine cavalleresco votato a contrastare
l’infedele sul mare: Cosimo I de’ Medici fondò infatti a Pisa, nel 1562, il Sacro militare ordine
marittimo dei cavalieri di Santo Stefano, e a questo esempio se ne potrebbero aggiungere diversi
altri. Tornando alla nostra vicenda, i nostri nove protagonisti vennero tratti in salvo dai cavalieri di
Malta, riconosciuti come cristiani e liberati. Portati sulla capitana – la galea ammiraglia – vennero
sfamati ‹‹con la porzione che si dà a’ marinari››, quindi vennero vestiti con una camicia nuova, una
camisola, dei calzoni, un cappotto di lana e un berretto ciascuno. È questo un esempio di solidarietà
tra marittimi, elemento fondamentale di una categoria di lavoratori estremamente mobile.
IL RITORNO
Le galee maltesi approdarono il 14 ottobre ad Antibes; da lì i marinai si diressero a Nizza, ove un
giorno dopo incontrarono il narratore di questa nostra storia, il console genovese Francesco
Ardissone, cercandone l’aiuto. Dopo aver rifocillato gli uomini con del vino, il console si diresse a
Villafranca con l’obiettivo di farli imbarcare per Genova ‹‹tutti assieme, se vi trovavo bastimento
grosso›› perché ‹‹questi non volevan separarsi››. Possiamo immaginare che la condivisione di una
simile disavventura leghi gli uomini gli uni agli altri, ma non dobbiamo dimenticare che nei piccoli
bastimenti a vela gli equipaggi erano reclutati a livello locale, se non entro la stessa famiglia,
favorendo così la coesione tra i singoli membri. Nondimeno, non avendo trovato bastimenti
adeguati, Francesco Ardissone ordinò a diversi bastimenti in partenza per Genova di portare con sé
Cruciano Lombardo e i suoi. I padroni così incaricati accolsero volentieri i nuovi passeggeri,
diedero loro da mangiare e li portarono fino a Genova; lì i membri dell’equipaggio del Santissima
Concezione presero strade diverse, ciascuno cercando un passaggio per tornare al proprio paese.
CONLUSIONE
Se una singola vicenda non è in grado di assisterci nell’opera di ricostruzione storica di un
fenomeno di lungo periodo, può tuttavia rappresentare un esempio efficace per gettare luce su
alcune caratteristiche tipiche e ben conosciute di quel fenomeno. La persistenza del corso
mediterraneo, la pluralità degli attori coinvolti, la schiavitù, la solidarietà tra marittimi e il ruolo
chiave svolto dai consoli, rappresentanti della nazione, sono questioni di rilievo che possiamo
osservare attraverso la stessa fonte. Il corso mediterraneo, tuttavia, è un tema ben più ampio e
complesso di quanto possa sembrare, e indubbiamente meno definito. Così come gli ordini
cavallereschi non mancarono di predare bastimenti cristiani, talvolta le grandi potenze europee
ricercavano la pace con i barbareschi – e anzi ne favorivano l’attività sul mare – per convogliare i
corsari musulmani contro i propri avversari cristiani. Il corso mediterraneo si inserisce così in un
più ampio scenario, quello della guerra di corsa propriamente detta, in un intreccio di alleanze e di
interessi commerciali, di traffici marittimi e di guerre su scala mediterranea e anche oltre. La
religione ebbe un ruolo? Indubbiamente; quel che dobbiamo chiederci, tuttavia, non è se ebbe un
ruolo, ma in che proporzione. Salvatore Bono ci porta un caso esemplare: nel 1804 un padre
barnabita, vedendo un corsaro musulmano pregare, gli chiese il perché ‹‹avendo tanta venerazione
per la Divinità trattate le di lei creature vostre simili con tanto strapazzo››. La risposta del corsaro,
articolata nella lingua franca mediterranea, fu netta: ‹‹stare usanza del mare››.
Vale la pena, infine, tenere a mente il ruolo dei singoli attori di tante piccole odissee come quella
che abbiamo avuto modo di osservare. In questo senso possiamo ricordare i nomi dei nove uomini
che il 19 agosto del 1745 vissero l’inizio di quest’avventura: Cruciano Lombardo, Francesco
Lombardo, Andrea Fascia, Santo Caniani, Giovanni Battista Vaschi, Antonio Monti, Agostino
Piccione, Antonio Testardi, Francesco Cicone.
Samuele Virga
MANUALE DI RIFERIMENTO
A. Prosperi, P. Viola, Storia moderna e contemporanea, 4 voll., Torino, Einaudi, 2000, I.
Dalla Peste Nera alla guerra dei Trent’Anni, II. Dalla Rivoluzione inglese alla Rivoluzione
francese.
BIBLIOGRAFIA
S. Bono, Guerre corsare nel Mediterraneo. Una storia di incursioni, arrembaggi, razzie,
Bologna, il Mulino, 2019;
S. Bono, Schiavi. Una storia mediterranea (XVI-XIX secolo), Bologna, il Mulino, 2016:
R. Canosa, Storia del Mediterraneo nel Seicento, Roma, Sapere 2000, 1997;
M. M. Du Jourdin, L’Europa e il mare dall’antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1993;
L. Lo Basso, Gente di bordo. La vita quotidiana dei marittimi genovesi nel XVIII secolo,
Roma, Carocci editore, 2016;
L. Lo Basso, In traccia de’ legni nemici. Corsari europei nel Mediterraneo del Settecento,
Ventimiglia, Philobiblon Edizioni, 2002.
FONTI ARCHIVISTICHE
Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, Lettere dei Consoli di Nizza, n. 2652,
missiva ai Serenissimi Collegi da parte del console Francesco Ardissone datata 18 ottobre
1745;
Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, Lettere dei Consoli Diversi, n. 2707, Tunisi,
missiva ai Serenissimi Collegi da parte del console Bogo datata 2 settembre 1723.
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