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In Sicilia sono numerose le biblioteche private che appartenevano a prelati e nobili che talvolta le
aprivano al pubblico. Abbastanza fornite erano le biblioteche di Catania, di Messina e di Girgenti. Il
fiorire di queste biblioteche era spesso affiancato a una vivace attività editoriale nelle città siciliane.
A Messina, a metà del XVIII secolo, fu aperta una Pubblica Libraria da parte di Giacomo
Longo, giudice e personalità eclettica. D’Angelo segnala appunto che fu proprio questo a donare nel
1731 circa 4.747 libri della sua biblioteca alla città, tanto che divenne la prima in Sicilia ad avere
una biblioteca pubblica, che venne accolta nelle sale dell’antico Palazzo Senatorio. Inoltre,
D’Angelo riporta che nel 1761 il viceré Fogliani, affinché la biblioteca fosse fornite anche di titoli
nuovi, ordinò che gli stampatori messinesi donassero una copia dei titoli che uscivano dai propri
torchi alla biblioteca cittadina. Questa iniziativa dimostra una vivacità intellettuale e culturale:
l’iniziativa di donare nuovi titoli faceva sì che Messina avesse una biblioteca ben aggiornata e che
le stamperie cittadine e la biblioteca non fossero delle entità indipendenti ma piuttosto
interdipendenti. Il commercio dei libri serviva quindi a far crescere una collezione libraria che
potesse avere una “pubblica utilità”. Attraverso i titoli stampati a Messina possiamo dedurre anche i
generi di libri si potevano trovare nella sua biblioteca. D’Angelo segnala testi di ambito filosofico –
teologico ma soprattutto «tra quelli più scientifici non mancano testi di medicina (come quelli di
Domenico Bottone, primo siciliano ad essere nominato socio della Royal Society di Londra), di
scienze (tra i quali alcuni scritti di Antonio Maria Jaci, trattati sulla peste del 1743 e descrizioni del
terremoto nel 1783, ma anche sui problemi del porto e sulle correnti nello stretto». Questo spicchio
dell’editoria locale mostra un interesse verso la filosofia naturale che proprio nel corso del XVIII
secolo aveva avuto un grande sviluppo e sta a dimostrare che neanche la Sicilia fosse estranea a tale
slancio.
Non meno importante è la realtà palermitana. Qui si trovavano a partire dalla seconda metà
del XVIII secolo due importanti raccolte di libri a uso pubblico: la Biblioteca del Senato , che
raccoglieva e rendeva accessibili al pubblico i libri trovati nel Palazzo dell’Inquisizione; la
Biblioteca Reale, all’interno dell’antico collegio dei Gesuiti, sotto la direzione di un teatino
bavarese tra i più eruditi cioè padre Joseph Sterzinger. La Biblioteca Reale raccoglieva la collezione
gesuitica ma anche diverse altre sparse nell’isola, i cui libri erano stati divisi tra Palermo e Messina;
si contavano circa 40.000 volumi. Sterzinger aprì la biblioteca al pubblico e ricevette pieni poteri
dall’arcivescovo per decidere quali libri potessero essere accessibili ai lettori. La scomparsa
dell’Inquisizione aveva permesso la formazione di un clima libero, tuttavia alcuni teologi
protestanti, come Melantone, non venivano prestati a tutti i richiedenti. La Biblioteca Reale si
inseriva all’interno di una realtà più amplia dove, anche qui, l’editoria giocava un ruolo decisivo. Il

31 agosto 1778 la Deputazione dei Regi Studi, voluta dal re e col compito di riformare il sistema
scolastico siciliano, affidò a uno dei personaggi più illustri dell’isola, il Principe di Torremuzza, di
creare una biblioteca ben fornita all’interno dell’ex Collegio Massimo dei gesuiti di Palermo. Fu
proprio il principe a donare con un atto testamentario circa 519 titoli. Accanto a questa fu affiancata
una Stamperia Reale (voluta dal re nel 1776 e che fu affidata allo stampatore Gaetano Maria
Bentivegna) e l’Accademia palermitana che avrebbe rappresentato il primo nucleo dell’odierna
università. Cusumano mostra come a Palermo, prima della fondazione della biblioteca da parte del
Re, fosse ben nota quella del marchese di Giarratana «che per alcuni giorni alla settimana l’apriva al
pubblico per la comune istruzione insieme con la “libraria” del principe di Cutò». Questa raccolta
libraria perseguiva appunto un utile pubblico, in modo che la fruizione culturale fosse accessibile a
chiunque. Sempre Cusumano segnala che il nucleo originario della raccolta del marchese era
rappresentato da opere sulla storia siciliana (anche se si contavano 124 manoscritti databili tra
Trecento e Quattrocento) e si era formata all’inizio del XVIII secolo; questa raccolta era stata
incrementata poi negli anni sino a quando nel 1929, il fondo passò alla Biblioteca della società
Siciliana per la Storia Patria grazie al testamento di Pietro Settimo principe di Fitalia. Meno
informazioni abbiamo riguardo alla biblioteca del principe Alessandro Filangieri di Cutò.

Il governo dell’isola è cosciente del patrimonio culturale e artistico che conservava la
propria terra. Nel 1781 vengono create due soprintendenze alle Antichità (una per la Val di Noto e
per la Val Demone, l’altra per la Val di Mazara) che furono rispettivamente affidate ai principi di
Biscari e Torremuzza. Incaricati dell’ispezione e della conservazione dei monumenti antichi, i
soprintendenti devono redigere un rapporto sui lavori, a loro giudizio, necessari. La collezione di
Biscari a Catania, nel Palazzo di Marina, era certamente quella più importante dell’isola e
costantemente incrementata: Cusumano segnala sempre una lettera del 12 maggio 1784 in cui
Biscari comunicava a Torremuzza di avere ancora in quell’anno «ampliato il Museo con una gran
Galleria di marmi» e di aver riallestito i vasi «Grecosicoli, e forestieri, che empiono tre gran stanze ,
che formano una bellissima veduta», esprimendo il suo desiderio che le circostanze «vi portino a
queste regioni per degnare il Museo di un vostro sguardo». Dal 1774 l’attività del principe di
Biscari fu affiancata dalla collaborazione da Domenico Sestini, erudito toscano che (forse) ebbe
delle benevole lettere di segnalazione da Giovanni Mariti. Qui a Catania, il Sestini «fu nominato
[dal principe di Biscari] conservatore del museo il Biscari aveva pazientemente creato dal 1774 in
avanti». Questa raccolta era la principale della Sicilia e presentava diverse sezioni: l’antiquariato, la
numismatica, le epigrafi e le raccolte di naturalistica. La fonte che abbiamo su questa collezione è
proprio quella del Sestini che (edita a Firenze nel 1776 e poi a Livorno nel 1786) rimane la più esauriente, benché non completa. Giarrizzo mostra come l’opera di Ignazio Biscari fu «la grande
sfida della ricostruzione di Catania “distrutta”, la sfida che chiamò la cultura scientifica e storica,
antiquaria e architettonica di questi primi decenni del settecento ad una mobilitazione senza
precedenti». Sono vari i motivi per cui si cominciò a collezionare oggetti antichi ma sicuramente il
terremoto del 1693 che distrusse la città di Catania dette uno slancio in tale direzione. Come
afferma Pafumi, la pratica collezionistica affiancò la ricostruzione materiale della città proprio per
riportare alla luce la sua passata grandezza che la Natura aveva distrutto. Su questa scia si inserisce
prima Vincenzo Principe di Biscari e poi, appunto, il figlio Ignazio. Patrick Brydone riguardo a ciò
riporta:


Stamattina siamo andati a visitare la casa e il museo del principe di Biscari: la sua raccolta di antichità regge bene il
confronto con tutte quelle che ho visto finora, eccezione fatta per il museo del re di Napoli a Portici. Ciò che accresce
ancor più il suo pregio è il fatto che il principe ha avuto la soddisfazione di veder venire alla luce la maggior parte dei
pezzi sotto i suoi occhi, grazie a degli scavi fatti tra le rovine dell’antico teatro di Catania.


Nelle parole di Brydone si può percepire la meraviglia nel vedere la collezione del nobile siciliano,
seconda solo a quella del re di Napoli. Il passo può essere considerato anche come testimonianza
della sovrintendenza all’attività archeologica di Biscari nella Val di Noto.

Ester Raccampo

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Nella foto interno di Palazzo Biscari (Catania), sede nel XVIII secolo del Museo di Ignazio Paternò
Castello Principe di Biscari.

BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA


M. D’ANGELO, Editoria e libri del ‘lungo’ Settecento messinese (1678-1783), pp. 350-351
N. CUSUMANO, Joseph Sterzinger Aufklärer teatino tra Innsbruck e Palermo (1746-1821), Associazione Mediterranea,
Palermo, 2016
N. CUSUMANO, Libri e culture in Sicilia nel Settecento, New Digital Press, Palermo, 2016
L. GAMBI, L’agricoltura e l’Industria della Sicilia intorno al 1775, negli scritti del toscano Domenico Sestini in Studi
geografici pubblicati in onore del Prof. Renato Biasutti, Supplemento al volume LXV (1958) della Rivista Geografica
Italiana, a cura della Società di Studi Geografici, Firenze, La Nuova Italia, 1958
G. GIARRIZZO, Il caso Biscari, in Cultura storica, antiquaria, politica e società in Italia nell’età
moderna, a cura di F. Luise, Milano, Franco Angeli, 2012
S. PAFUMI, L’antiquaria di Ignazio V Biscari: il museo come laboratorio, in Cultura storica,
antiquaria, politica e società in Italia nell’età moderna, a cura di F. Luise, Milano, Franco Angeli,
2012
P. BRYDONE, Viaggio in Sicilia e a Malta, a. c. di Rosario Portale, La Spezia, Agorà Edizioni,
2005

Per un profilo di Domenico Sestini si rimanda a F. SURDICH, Domenico Sestini, Dizionario

Biografico degli Italiani, vol. 92, 2018, http://www.treccani.it/enciclopedia/domenico-
sestini_%28Dizionario-Biografico%29/, 1 maggio 2021.

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