Il rito di passaggio più importante nella vita di una donna romana era il matrimonio, all’interno del quale si
esprimeva il suo ruolo fondamentale, quello di madre. C’erano rituali e divinità preposti alla protezione e
all’incremento della fecondità, in particolar modo quello di Giunone, il cui culto ebbe una grandissima
diffusione, definendo un modello femminile ben preciso. Giunone fu venerata come divinità protettrice delle
donne, in particolar modo delle spose e delle partorienti: i suoi epiteti specificano le varie funzioni a cui la
dea era preposta ed evidenziano i legami con le attività tipiche delle donne. Caso emblematico è quello di
Giunone Lucina, protettrice delle nascite, in onore della quale si celebrava la festa dei Matronalia, il 1° di
marzo, nel mese di Marte.
Giunone, fin dall’età monarchica, assunse i tratti della divinità femminile per eccellenza. Oltre che con la
fecondità, aveva legami con le attività oracolari e guerriere e soprattutto con l’esercizio del potere politico,
assumendo la funzione di protettrice dello Stato. In questo senso si può ricordare la sua epiclesi come Iuno
Moneta: secondo la testimonianza di Tito Livio (5,47), nel 390 a.C. durante l’assedio dei Galli di Brenno,
nonostante Roma fosse ridotta alla carestia, le oche sacre alla dea vennero risparmiate. Gli animali furono gli
unici a rendersi conto dell’imminente pericolo e, quando i Galli stavano per entrare nel Campidoglio,
iniziarono a starnazzare, mandando così l’allarme grazie al quale fu fermato l’assedio.
Ancora la sua funzione protettrice e propiziatoria è evidenziata dal suo culto come Iuno Sospita,
rappresentata con una pelle di capra sul capo, armata di lancia e accompagnata da un serpente. Il culto,
proveniente da Lanuvio, entrò a Roma nel 338 a.C. e a lei fu dedicato un tempio nel Foro Olitorio nel 194 a.C.
Questa serie di competenze favorì l’associazione della divinità romana a divinità straniere come la Iuno
Regina di Veio, il cui culto fu trasferito dalla città etrusca a Roma nel 396 a.C., dopo la vittoria riportata da
Marco Furio Camillo.
Andando avanti nel tempo si nota la stretta correlazione che si è instaurata tra Giunone e il matrimonio, e in
particolar modo tra Giunone e il parto, nel suo ruolo di Iuno Lucina. Per quanto riguarda gli attributi della
dea, sembra sicura l’influenza della divinità etrusca Uni, venerata a Pyrgi; tuttavia si possono notare legami
anche con la greca Ilizia o Leucotea. Il rituale in onore di Giunone Lucina prevedeva due momenti: uno si
svolgeva all’interno della domus e l’altro nel tempio della divinità. Erano due spazi contrapposti, uno privato
e l’altro pubblico: il marito doveva onorare la sua sposa, facendo preghiere favorevoli alla protezione del
matrimonio; in quanto mater familias la donna riceveva regali da amici e parenti, diventando la protagonista
della festa all’interno della sua dimora. In seguito si teneva un banchetto in cui gli ordini sociali venivano
ribaltati, cosicché la padrona serviva i suoi schiavi: si ripeteva lo stesso rituale dei Saturnalia, con la differenza
che in quel caso il protagonista era il pater familias.
Accanto alla celebrazione privata si svolgeva quella pubblica, che consisteva nella visita al tempio della
divinità, in cui venivano portate le offerte. Soltanto le donne accedevano al tempio, il quale fu dedicato
probabilmente nel 375 a.C., nella zona del Cispio del monte Esquilino, nel bosco in cui la divinità veniva
adorata da tempi più antichi. Le offerte consistevano in ghirlande di fiori e non erano previsti sacrifici animali,
in quanto si celebrava la nascita della vita. Sembra che al rituale partecipassero soprattutto le donne incinte,
che avrebbero dovuto portare i capelli sciolti e le vesti prive di nodi, questo per evitare problemi o malattie
durante la gravidanza.
Certamente Giunone Lucina non era la sola divinità preposta alla protezione della maternità, anche altre dee
rivestirono questo ruolo e perciò erano venerate in diverse celebrazioni. Insieme a Fortuna Muliebris, si può
citare Mater Matuta, celebrata nella festività dei Matralia, che si presentava come protettrice dei bambini
fino all’età adulta. La festa si svolgeva l’11 giugno e secondo la testimonianza di Plutarco (Cam., 5), Marco
Furio Camillo, in seguito alla vittoria su Veio nel 396 a.C., avrebbe ricostruito il tempio alla dea, andato
distrutto dopo il 509. Il rito prevedeva che le matrone conducessero al tempio non i propri figli, ma i nipoti e offrissero alla dea una focaccia. Anche in questo caso si assisteva a una mescolanza sociale, infatti venivano
portate al tempio le schiave che poi erano percosse e cacciate. Ovidio nei Fasti (fast., vv. 473 ss.) spiega le
origini della festa e presenta un sincretismo tra la divinità italica e quella greca, la tebana Ino-Leucotea: Ino,
figlia del re di Tebe Cadmo, si incaricò, alla morte della sorella Semele, di allevare il fanciullo Dioniso-Bacco e
in ricordo di questo le madri romane portavano al tempio i figli dei fratelli e pregavano per loro; l’odio per le
schiave il poeta lo spiega col fatto che Atamante, figlio di Mater Matuta-Ino, invaghitosi di un’ancella, dette
credito alle insinuazioni di lei contro la moglie; infine l’uso di preparare la focaccia sarebbe stato in memoria
del modo in cui Ino ruppe il lungo digiuno nel Lazio presso la sacerdotessa Carmenta.
In tutte queste festività le donne si incontravano e onoravano le divinità che proteggevano le attività tipiche
femminili: la religione era usata come uno strumento di coesione, che promuoveva l’identità collettiva
delle donne. Nonostante ciò non erano mai tralasciate le profonde differenze tra i gruppi sociali e la posizione
di ciascuna donna era ben delineata e categorizzata, soprattutto per quanto riguarda le schiave; senza
dimenticare tra l’altro la tendenza a rimarcare la posizione privilegiata delle matrone, nel loro ruolo di mater
familias. Queste feste religiose facevano parte del calendario e ciò significa che erano ufficiali e pubbliche:
lo scopo era quello di divulgare, attraverso la religione, determinati stereotipi femminili. Fin dalla Roma
primitiva queste feste si sono mantenute e sono state ampliate durante l’età repubblicana. Proprio in questo
periodo furono esaltate le origini di tali festività in relazione alla loro valenza pubblica e ai benefici apportati
allo Stato da figure femminili di spicco. Un caso famoso è quello della celebrazione di Fortuna Muliebris:
secondo Livio (2,40; 10,23) le matrone romane avevano chiesto al Senato di edificare a loro spese un tempio
alla Fortuna sotto il nome di Muliebre, nel luogo in cui esse, condotte da Veturia e da Cornelia,
rispettivamente madre e moglie del celebre Coriolano, lo avevano persuaso a non prendere le armi contro la
patria.
Un’ultima riflessione merita la data di celebrazione della festività dei Matronalia, il 1° di marzo: se da un lato
trovava posto l’esaltazione del ruolo delle matrone e delle partorienti, dall’altro il tutto si accompagnava alla
processione dei Salii, il collegio sacerdotale votato al culto di Marte. Mentre le matrone onoravano Giunone
Lucina con fiori e ghirlande, prima all’interno della casa e poi nel tempio dell’Esquilino, i cittadini assistevano
alla sfilata dei Salii Palatini: questi sfilavano, portando in processione i dodici scudi sacri, intonando canti, in
cui si invocava su Roma la protezione degli dei, e percuotendo gli scudi. Le sfilate venivano ripetute durante
tutto il mese e lo scopo era quello di celebrare l’inizio dell’anno e delle campagne militari.
Interessante notare il contrasto tra spazi e attività di queste due festività: la guerra, compito dell’uomo, è
glorificata con processioni per le strade, mentre il parto, prerogativa delle donne, è celebrato nella casa e
negli spazi chiusi, senza spettacoli o sfilate che lo proiettino verso l’esterno.
La rielaborazione del culto di Giunone, che porta la divinità a diventare la protettrice del matrimonio e del
parto, evidenzia come si sia andata via via rafforzando la propaganda che concepiva le donne prima di tutto
come madri. Inoltre il passato mitico di Roma era sfruttato a favore di presentare le donne dell’epica come
madri gloriose, come è ben evidente ad esempio dal testo di Ovidio sulle Sabine (fast., vv.167-234).
Le festività che si svolgevano il 1° di marzo, sotto la protezione di Giunone e del figlio Marte, da una parte
celebravano la guerra come attività tipicamente maschile, dall’altra il parto come funzione primaria
femminile: sono questi i servizi che gli uomini e le donne potevano offrire allo Stato e ad essi erano riservati
spazi specifici e differenti tra loro.
Eleonora Mancini
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