Introduzione
È idea comunamente nota che la storia sia scritta dai vincitori. Tuttavia, ci si può interrogare su chi sia stato il vincitore di un conflitto, così da interpretare nel modo più oggettivo possibile i resoconti che abbiamo a disposizione. Una cosa del genere possiamo farla con le testimonianze letterarie della battaglia di Waterloo lasciate dallo scozzese Walter Scott e dal francese Victor Hugo. Abbiamo da una parte Scott, “vincitore” della battaglia sopra citata, e Hugo che, invece, in quanto francese, rappresenta la parte sconfitta.La campagna di Francia che Napoleone condusse con grande abilità tra il 1813 e il 1814 fu più che altro velleitaria e le numerose vittorie che seppe riportare, a parte sollevare l’entusiasmo patriottico, apparvero praticamente irrilevanti rispetto alla schiacciante superiorità che permise agli alleati di prendere Parigi quando giunse il momento. Nell’aprile 1814 Napoleone abdicò a Fointenbleau e si ritirò all’Isola d’Elba, ma il 1° marzo 1815 tornò alla ribalta sbarcando a Cannes, In tutto questo gli avversari napoleonici, allora riuniti nella capitale asburgica per un congresso, videro un casus belli: mobilitarono nuovamente i loro eserciti e nel frattempo misero sul piede di guerra l’armata britannica guidata da Wellington e un’armata prussiana guidata da Blücher , le quali, per svariati motivi, si trovavano già nei pressi della frontiera tra Paesi Bassi e Francia. Benché Napoleone avesse inizialmente un vantaggio per aver sconfitto i nemici prima a Ligny e poi a Quatre-Bras, la battaglia di Waterloo fu militarmente indegna per colui che aveva dimostrato di essere uno dei più grandi condottieri della storia. Questo scontro costituì il riassunto della guerra napoleonica e, raffigurato in un numero incalcolabile di dipinti, stampe, e disegni contemporanei, e rese anche visivamente popolare un momento fondamentale della storia europea moderna.Il presente lavoro prende in analisi il capitolo 107-108 de La vita di Napoleone Buonaparte, imperatore dei francesi. Con uno sguardo preliminare sulla Rivoluzione francese (volume ottavo) scritto da Walter Scott e i capitoli 1-18 de I miserabili (parte seconda, Libro primo). Si cerca quindi di portare avanti un confronto fra le due testimonianze letterarie cercando di mettere in luce sia le somiglianze ma soprattutto le differenze, mostrando come il medesimo evento sia stato interpretato in modo diverso dai vincitori e dai vinti.
1. Walter Scott: Waterloo come elogio della Gran Bretagna
Walter Scott, famoso per il suo contributo decisivo alla letteratura britannica nell’ambito soprattutto del romanzo storico, pubblicò una monumentale vita di Napoleone in nove volumi col fine di rappresentare sotto la giusta luce la storia di un uomo che stava riscrivendo la storia d’Europa e che proprio sul campo di Waterloo, il 18 giugno 1815, trovò la sua sconfitta decisiva. Scott propone una lettura estrema della vicenda: il vero eroe dell’intera battaglia è rappresentato solo dall’esercito britannico e la partecipazione prussiana all’evento viene ridotta a un ruolo marginale, come ben vediamo dal seguente passaggio:C’è una affermazione prediletta da quasi tutti i francesi e da qualche autore inglese, secondo la quale gli inglesi erano in procinto di essere sconfitti quando arrivarono i prussiani. La verità è l’opposto. Dalle undici passate fino a circa le sette del pomeriggio i francesi avevano attaccato e i britannici avevano resistito e, nonostante la battaglia fosse stata molto cruenta, i primi non avevano conquistato nessuna posizione, con l’eccezione del bosco di Hougomont e della fattoria di La Haye Sainte, tutti e due presi, ma presto perduti. Il barone Muffling ha fornito la più esplicita testimonianza che la battaglia non avrebbe avuto un esito favorevole per il nemico neppure se i prussiani non fossero arrivati.Scott definisce Müffling, generale dell’esercito britannico, testimone oculare e un giudice indiscutibile e ciò autorizza a concludere che:Gli allori di Waterloo vanno divisi: gli inglesi vinsero la battaglia, i prussiani la conclusero e portarono a compimento la vittoria.Il successo di Waterloo per Scott sarebbe solo britannico e ai prussiani rimarrebbero solo le briciole dell’inseguimento di un nemico ormai battuto. Tale posizione sarebbe contraddetta dalla storiografia di parte prussiana, ad esempio da Von Clausewitz, che scrisse anche lui una storia della campagna del Belgio e ne fornisce un’interpretazione opposta: il grande teorico della guerra di parte orientale sostiene infatti che la battaglia finale fu una vittoria prussiana alla quale gli inglesi apportarono il solo contributo di bloccare il movimento dell’esercito francese per il tempo necessario a consentire a Blücher di intercettarlo e di sconfiggerlo.C’è da osservare che l’opera di Scott è stata scritta a caldo, da un uomo di prestigio della società inglese che aveva vissuto la situazione sociopolitica dell’Europa dei primi dell’Ottocento, anche se non impegnato in prima persona nei vari eventi bellici. Victor Hugo invece era un giovane (appena tredicenne) all’epoca dei fatti di Waterloo e pubblicò I miserabili solo nel 1862, cioè ben trentacinque anni dopo la pubblicazione della biografia napoleonica del collega scozzese, in un panorama europeo che era profondamente mutato: Napoleone III governava sulla Francia e il romanziere francese viveva in esilio in Inghilterra; Egli tornerà in patria solo nel 1870, alla caduta di Napoleone il Piccolo, come aveva battezzato il sovrano.Scott afferma infine che la battaglia di Waterloo fu vinta dal duca di Wellington. Prima evidenza di questo è il nome col quale la battaglia è ricordata; proprio Wellington scelse Waterloo, paesino lontano dalle retrovie delle battaglie ma con una grafia che risultava di facile pronuncia per il pubblico anglofono che avrebbe dovuto celebrare la vittoria. Blücher propendeva per Belle Alleance, come testimonianza della doppia vittoria e gli autori prussiani continuarono per anni a riferirsi alla battaglia con quel nome. Napoleone, nel bollettino dell’armata col quale dà la notizia ai francesi della sconfitta subita riferisce alla battaglia di Mont-Saint-Jean, ma a Sant’Elena impiega comunemente Waterloo, accettando l’uso per il quale è il vincitore a dare il nome alle proprie vittorie.Scott ha lasciato senza alcun dubbio una testimonianza letteraria importante e non priva di patriottismo di quel grande evento europeo che fu la battaglia di Waterloo.
2. Victor Hugo e il romanzo che racconta la Storia
Il racconto di Waterloo inserito neI Miserabili inizia con la descrizione da parte dell’autore di quel luogo che fu la sede della battaglia che fece da spartiacque fra la Rivoluzione e la Restaurazione europea. Hugo sceglie di rappresentare un fatto centrale caricandolo di significati ed esprime, attraverso la battaglia, una sua teoria della vicenda storica. Dopo una descrizione accurata del castello di Hougomont, dove si vedono ancora le tracce della battaglia, Hugo passa in rassegna tutte le fasi dello scontro fra l’esercito di Napoleone e quello guidato da Wellington (cosa che avviene anche in Scott, ma questo usa un linguaggio storiografico mentre nel romanziere francese troviamo una forte denotazione narrativa- letteraria nel raccontare la battaglia).Napoleone aveva preparato questa battaglia curando ogni minimo particolare e aveva ideato una strategia che avrebbe dovuto essere perfetta. Hugo si spiega il fallimento del piano con una concatenazione di avvenimenti sfavorevoli ai francesi: il primo di questi fu la pioggia battente, caduta per tutta la durata della battaglia, che ritardò l’inizio della contesa e limitò il piano ideato da Napoleone basato principalmente sulla forza dell’artiglieria, che rischiava d’impantanarsi, e sulla rapidità dei movimenti. Hugo infatti sostiene che molto probabilmente, se non fosse piovuto, la storia d’Europa sarebbe andata in un altro modo: Se non fosse piovuto nella notte dal 17 al 18 giugno 1815, l’avvenire dell’Europa sarebbe stato diverso. Poche gocce d’acqua in più o in meno hanno messo in bilico Napoleone; per far di Waterloo la fine di Austerlitz, la provvidenza ebbe solo bisogno di un po’ di pioggia e una nube che attraversò il cielo a dispetto della stagione bastò per il crollo d’un mondo. La battaglia di Waterloo, e ciò diede tempo a Blücher di giungere, non poté incominciare che alle undici e mezzo. Perché? Perché il terreno era bagnato e bisognava aspettare che si rassodasse un poco, affinché l’artiglieria potesse manovrare. […] Supponete che il terreno fosse stato secco e che l’artiglieria avesse potuto manovrare: l’azione sarebbe incominciata alle sei del mattino e la battaglia sarebbe stata vinta e terminata alle due pomeridiane. Tre ore prima dell’intervento prussiano. L’autore sottolinea in una digressione la sicurezza che aveva l’imperatore francese nei propri mezzi e nella propria strategia a tal punto che la sua inflessibilità era venuta meno poche ore prima che iniziassero i combattimenti, ritenendo di avere la vittoria già in pugno. L’imperatore sebbene ammalato e disturbato a cavallo da un dolore, non era mai stato tanto di buonumore come quel giorno; fin dal mattino la sua impenetrabilità sorrideva. Il 18 giugno 1815, quell’anima profonda, dalla maschera marmorea, splendeva in modo abbagliante: colui che era stato triste ad Austerlitz, fu allegro a Waterloo. I grandi predestinati hanno siffatti controsensi. Lee nostre gioie sono ombra; il sorriso supremo è Dio. Hugo va alla ricerca delle cause che portarono Napoleone alla sconfitta, oscillando tra il credere ad un disegno cosmico di Dio oppure ad un destino apparentemente insensato ed ingiusto. Le fasi della sconfitta di Napoleone si possono riassumere con l’inaspettata resistenza di Hougomont, la caduta di gran parte della guardia francese in un dirupo, la fanteria poco sfruttata, l’arrivo improvviso delle armate prussiane e la fuga repentina ed inesorabile delle truppe superstiti francesi. L’autore dedica un capitolo interno alla vicenda che vede come protagonista Cambronne, ultimo ufficiale francese a cadere sotto le armi, il quale alla richiesta di arrendersi da parte del nemico rispose seccamente «Merda!» e immediatamente dopo venne abbattuto; appare molto strana l’importanza che Hugo diede a questo gesto per il quale Cambronne viene addirittura definito come il vero vincitore della battaglia, affermazione che pare forse un po’ esagerata: Dunque, fra tutti quei giganti vi un titano, Cambronne. Dire quella parola e poi morire: cosa v’è di più grande? Poiché voler morire è morire e non fu colpa di quell’uomo se, mitragliato, sopravvisse. Colui che ha vinto la battaglia di Waterloo non è Napoleone messo in rotta, non è Wellington, che alle quattro ripiega e alle cinque è disperato, non è Blücher che non ha affatto combattuto; colui che ha vinto la battaglia di Waterloo è Cambronne. Poiché fulminare con una parola simile il nemico che v’uccide, significa vincere. Durante tutto il racconto in molti casi l’autore enfatizza il coraggio e il valore dell’esercito francese e in qualche modo dà un tono epico a tutto l’episodio .Nella parte finale del libro dedicato a Waterloo appare anche una critica generale agli storici inglesi, i quali hanno esaltato fin troppo la vittoria di Wellington sminuendo l’importanza che ebbero, ad esempio, i valorosi cavalieri scozzesi o in generale tutto l’esercito britannico: l’Inghilterra è stata troppo modesta di fronte a Wellington. Fare così grande Wellington, vuol dire fare piccola l’Inghilterra. Wellington è solo un eroe come gli altri; quegli scozzesi grigi, quegli horse guards, quei reggimenti di Maitland e di Mitchell, quella fanteria di Pack e di Kempt, quella cavalleria di Ponsonbye di Somerset, quegli highlanders che suonavano il piborch sotto la mitraglia, quei battaglioni di Ryland, quelle reclute novelline che sapevano a stento a impugnare il moschetto e che tennero testa alle vecchie schiere d’Essling e di Rivoli: ecco ciò che è grande. Wellington fu tenace, e questo merito glielo mercanteggiamo affatto; ma l’ultimo dei suoi fanti e dei suoi cavalieri lo fu quanto lui. L’iron soldier vale l’iron duke. Per conto nostro, tutta la nostra esaltazione va al soldato inglese, all’esercito inglese, al popolo inglese; se v’è un trofeo, e spetta all’Inghilterra. La colonna di Waterloo sarebbe al giusto se, anziché la figura d’un uomo, sollevasse verso le nubi la statua di un popolo .Hugo definisce solo la definitiva sconfitta come un intreccio di casi, che non riguardano solo Napoleone ma Napoleone e Wellington, legati da mosse geniali contraddette da sfortuna e da altre guadagnate da un insperato successo. Per Victor Hugo Waterloo rappresenta la libertà, una vittoria controrivoluzionaria, un progresso dell’umanità.
Conclusioni
Entrambi gli autori presi in analisi in questo elaborato hanno riconosciuto la presenza di un progetto che a Waterloo si realizza e che trascende l’intento dei vincitori della battaglia: il conseguimento di un obiettivo ulteriore, di un successo personale di dimensioni gigantesche cioè di vedere Napoleone fra i grandi personaggi della Storia. Il sociologo Marshall Mac Luhan consiglia di non studiare gli avvenimenti sulla base delle presunte intenzioni degli autori, ma piuttosto sulle conseguenze che dalle loro azioni sono derivate, ben più facili da riconoscere e meno costrette nel campo delle ipotesi e delle supposizioni. Da questo punto di vista non ci sono dubbi che la giornata apparentemente infausta di Waterloo rappresentò per Napoleone il coronamento di un progetto di autocelebrazione perfettamente riuscito del quale siamo oggi consapevoli e partecipi .Nell’analisi di queste due visioni del medesimo evento traspare anche un modo diverso di concepire la patria. É curioso come Walter Scott, orgogliosamente scozzese, parli con tanta fierezza di Wellington e dell’intero esercito britannico (erano passati appena appena cento anni dal Trattato di Unione del 1707 e i dissapori tra Inghilterra e Scozia erano ancora manifesti). Walter Scott propone una storiografia che si fonda su cause: a Waterloo Napoleone perse perché l’esercito inglese era nettamente più forte; Wellington è presentato come l’eroe che ha portato alla vittoria il suo Paese e protagonista dell’intero evento, lasciando invece sullo sfondo la partecipazione prussiana. Victor Hugo invece pone nella sua narrazione di Waterloo ancora una volta al centro il popolo. Come già riportato precedentemente, per Hugo il vincitore non è Wellington ma piuttosto l’intero popolo inglese. Infatti, il romanziere francese non esalta troppo le figure dei grandi generali (se lo fa ne propone un ritratto assolutamente umano e non eroico) ma piuttosto ricordo i soldati semplici, quelli che hanno vissuto fino infondo Waterloo e sono caduti in battaglia oppure sono rimasti gravemente feriti. Personalmente ritengo che in Scott troviamo una idea di patria molto legata alla figura dell’Eroe che la rende grande mentre in Hugo una idea di patria congiunta al popolo. Il popolo, gli ultimi, les misérables sono l’anima della nazione, scrivono la storia e muovono la narrazione dell’intera trama del romanzo hugiano.
– Ester Raccampo
Bibliografia - V. HUGO, I miserabili, Varese, Crescere Edizioni, 2013 - W. SCOTT, V. HUGO, Waterloo, Palermo, Sellerio Editore, 2015 - T. GAMBINI, Storia della Guerra a cavallo. Dall’ apogeo alla fine della cavalleria. 1800 -1945, Bologna, Odoya, 2014 Sitografia - Per la biografia di Walter Scott e Victor Hugo: www.treccani.it - B. Colson, Clausewitz on Waterloo, https://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/0968344512447183, 13 maggio 2019
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